(da una prefazione di P. Carlo Giacon)

Carlo Giacon

La Fondazione Centro di studi filosofici di Gallarate prosegue sotto altra veste giuridica l’attività del “Centro di studi filosofici di Gallarate”, che ha dato origine ad essa insieme alla Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù e l’ha costituita come Fondazione il 13 settembre 1998. Questa ha poi ottenuto la personalità giuridica con Decreto Ministeriale del 27 gennaio 1999 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18.03.1999 n. 64). Ma il Centro studi filosofici di Gallarate ha iniziato la sua attività fin dall’immediato dopoguerra, ed è stato istituito formalmente nel 1954 a Padova, dove ha anche la sua sede attuale. La Sovrintendenza archivistica per il Veneto ha dichiarato di notevole interesse storico l’archivio del Centro Studi Filosofici di Gallarate (1945-1998) di proprietà della Fondazione «perché documenta l’attività dell’istituzione culturale fondata dal gesuita Carlo Giacon (Padova 28.12.1900 – Gallarate (Varese) 17.12.1984, fondatore dell’Istituto di Storia della Filosofia di Padova) nel secondo dopoguerra. Al nucleo originario delle carte di C. Giacon si aggiungono i carteggi successivi che documentano l’attività del Centro.»Il Centro promuove dal 1946 Convegni annuali, svoltisi regolarmente presso l’allora Pontificia Facoltà Filosofica Aloisianum di Gallarate (presto anche con un ricevimento ufficiale in Municipio). Tali Convegni che hanno coinvolto inizialmente professori universitari di area cattolica, hanno allargato in seguito la partecipazione anche a Professori universitari “ospiti” e a Relatori di altre ispirazioni filosofiche. Inizialmente riservati ai cattedratici, essi si sono aperti non solo agli Associati, ma anche ad altri Cultori della materia in Italia e all’estero e sono accessibili anche a un pubblico più ampio. I Convegni di Gallarate sono giunti nel 2005 alla 60.a edizione e i volumi monografici da essi risultanti sono stati puntualmente pubblicati. Su questo itinerario culturale consegnato ogni anno a volumi monografici sono state condotte anche delle ricerche tematiche riguardanti in particolare i primi due decenni, e il quinquennio successivo (C. Giacon, Il movimento di Gallarate. I dieci Convegni dal 1945 al 1954, C.E.D.A.M, Padova, 1965, pp. 222. A. Babolin, I dieci Convegni dal 1955 al 1965, Patron, Bologna 1966, pp. 357. A. Babolin, Il movimento di Gallarate. I Convegni dal 1966 al 1970, Gregoriana, Padova 1971, pp. 322). Più recentemente infine è stato condotto un ampio studio su tutta la serie dei Convegni da parte di V. Bortolin, Tra ricerca filosofica e fede cristiana: il Movimento di Gallarate, Gregoriana, Padova 1990, pp. 535.Una seconda serie di Convegni e di volumi monografici è stata promossa dal Centro di studi filosofici di Gallarate a Padova, a favore dei giovani “Assistenti”, poi “Ricercatori” universitari e Dottorandi di ricerca di materie filosofiche. Questi Convegni (cui partecipano numerosi Docenti dell’università patavina e anche Professori di filosofia delle scuole superiori) e la relativa pubblicazione sono giunti alla 50.a edizione nell’anno 2005.Dal 1949 il Centro di studi filosofici di Gallarate si è impegnato a pubblicare annualmente la Bibliografia Filosofica Italiana, presso diversi editori (Marzorati, Morcelliana, Gregoriana) e approdando nel 1977 all’editrice Olschki, che continua attualmente la serie. L’importanza di questo servizio alla ricerca filosofica soprattutto italiana è facilmente apprezzabile ed è confermata dal fatto che le annate esaurite della Bibliografia Filosofica Italiana, – dal 1949 al 1976 – sono state ripubblicate fotostaticamente da qualche anno e sono ora disponibili presso l’editrice Schmidt Periodicals GmbH (D-83075 Bad Feilnbach, Germania), come risulta anche da Internet. Il Centro di Gallarate ha realizzato l’Enciclopedia Filosofica, la prima in assoluto, ampiamente conosciuta e riconosciuta anche all’estero. Essa ha avuto due edizioni (nel 1958 e 1968), e la seconda ristampa dell’ultima edizione (in otto volumi, 1979) è esaurita da una decina d’anni. Le altre opere promosse dal Centro di Gallarate sono il Dizionario dei filosofi (tradotto anche in spagnolo), e il Dizionario delle idee, estratti dall’Enciclopedia Filosofica, come pure il Dizionario dei filosofi del ‘900 (1985), inteso come lavoro preparatorio per l’aggiornamento dell’Enciclopedia Filosofica. Attualmente si sta lavorando alla terza edizione dell’Enciclopedia Filosofica interamente rielaborata, la cui pubblicazione è prevista per l’anno 2006.Continua la Collana “Filosofi antichi” (9 volumi) presso Loffredo; la nuova serie  è diretta dal prof. Enrico Berti. L’ultimo volume, Aristotele, De interpretazione, è uscito nel 1999 a cura del compianto prof. A. Zadro.  È attesa prossimamente la pubblicazione degli Elenchi sofistici di Aristotele, a cura di G. Sorio. Questa collana si distingue dalle comuni traduzioni e commenti, perché si propone anche di discutere il testo critico e di documentare in modo completo l’influsso o la “fortuna” delle singole opere lungo tutta la tradizione occidentale. Recentemente è iniziata la Collana “Libertà e responsabilità” presso l’editrice il Messaggero di Padova. Sono state sospese le Collane “Classici della filosofia cristiana” (8 volumi), “Filosofi moderni” (23 volumi) e “Filosofi contemporanei” (20 volumi), come pure la collana “Saggi e ricerche” (11 volumi) e i “Premi in filosofia `Provincia di Varese'” (11 volumi), tendenti a sostenere giovani autori meritevoli. Le “Opere di Romano Guardini” (28 volumi) sono curate in traduzione italiana dal Centro presso l’editrice Morcelliana di Brescia per esplicita volontà e testamento dell’Autore. Il Centro di Gallarate ha realizzato l’Enciclopedia Filosofica, la prima in assoluto, ampiamente conosciuta e riconosciuta anche all’estero. Essa ha avuto due edizioni (nel 1958 e 1968), e la seconda ristampa dell’ultima edizione (in otto volumi, 1979) è esaurita da una decina d’anni. Le altre opere promosse dal Centro di Gallarate sono il Dizionario dei filosofi (tradotto anche in spagnolo), e il Dizionario delle idee, estratti dall’Enciclopedia Filosofica, come pure il Dizionario dei filosofi del ‘900 (1985), inteso come lavoro preparatorio per l’aggiornamento dell’Enciclopedia Filosofica. Attualmente è stata pubblicata nel novembre 2006, presso Bompiani, la terza edizione dell’ Enciclopedia Filosofica interamente rielaborata, in dodici volumi (disponibile in libreria a  408,00 Euro; prezzo di lancio 299,00 Euro).


Storia degli inizi

Si era nell’agosto del 1945. Il 25 aprile non era molto lontano, e non erano ancora state riattivate le principali comunicazioni ferroviarie. Il Prof. Padovani a Gallarate, dove si trovava sfollato da Milano, in un amichevole colloquio col P. Giacon, auspicò una sollecita riunione di professori universitari di materie filosofiche, aderenti ad una concezione cristiana della vita, per favorire un indirizzo almeno non anticristiano all’immancabile rinascita degli studi filosofici del dopoguerra. Dopo una quindicina di giorni, a Padova, il Prof. Stefanini, senza conoscere affatto la proposta del Prof. Padovani, con parole del tutto simili, faceva al P. Giacon la stessa proposta. Il felice incontro delle idee obbligò a pensare a una qualche concreta realizzazione. In un incontro a Pavia, il P. Giacon raccolse dal Prof. Sciacca non solo piena adesione, ma fervore di propositi e conoscenza di iniziative già in atto. Un altro incontro ebbe luogo a Vallo, vicino a Torino, dove si trovava il Prof. Guzzo, affranto inconsolabilmente per la perdita repentina e inesorabile dell’unica dilettissima figlia Luisina. Il P. Giacon trovò la più viva adesione, i più fervidi incoraggiamenti, i suggerimenti più utili e opportuni. Altrettanto ebbe a Bologna dal Prof. Battaglia. Tutti si era ben consapevoli che, nella crisi e nel crollo conseguiti alle due guerre mondiali anche per la filosofia si manifestava, come unico terreno saldo, di fronte a tante rovine materiali e spirituali, il Cristianesimo.

Fu allora decisa una riunione, a cui sarebbero stati invitati i gruppi universitari di Padova, Milano, Bologna, Pavia, Torino, Genova, cioè soltanto di città dell’Alta Italia, non essendo ancora possibile comunicare oltre Appennino. I Proff. Battaglia, Guzzo, Padovani, Sciacca, Stefanini e Giacon costituirono il Comitato promotore del Convegno. Il tempo designato fu l’ultima settimana di ottobre, il luogo, relativamente centrale e tranquillo e, in tempi ancora molto difficili per riunioni, sufficientemente attrezzato per alloggiare, fu l’Aloisianum di Gallarate (vedi foto), rimasto libero dall’occupazione tedesca, dove aveva sede la Pontificia Facoltà di filosofia dei Padri Gesuiti dell’Italia settentrionale. Mezzi di fortuna e qualche auto privata condussero a Gallarate i professori che di fatto poterono recarvisi, mentre 6 erano costretti a inviare soltanto la loro cordiale adesione. Di felice auspicio per il futuro fu la presenza del Prof. Castelli, invitato in modo specialissimo come rappresentante del centro, del meridione e delle isole: superando difficoltà inaudite, egli portò il saluto di Roma, dell’Istituto di Studi filosofici, di colleghi e amici che applaudivano all’iniziativa.

Il Convegno ebbe luogo precisamente nei giorni 22, 23 e 24 ottobre; l’argomento proposto fu: Orientamenti contemporanei della filosofia cristiana e delle filosofie non cristiane. Al termine del Convegno fu unanimemente ed entusiasticamente espresso il desiderio di rendere periodica una così simpatica, utile e feconda riunione, allargando l’invito ai docenti universitari cristiani di filosofia di tutta Italia.

A mano a mano che i Convegni erano tenuti e andavano sempre più crescendo, un gruppo compatto di professori animati dallo stesso slancio di ricerca e di ricostruzione dei supremi valori dello spirito andava costituendo un vero e proprio « Movimento di Gallarate », con una fisionomia ben chiara e caratteristica. Dapprima i rappresentanti del Movimento furono invitati e si fecero notare come tali nella partecipazione ai Congressi nazionali, internazionali o speciali che riprendevano a tenersi terminato l’infausto periodo bellico.

Accanto alle manifestazioni in Convegni e Congressi il Movimento concorse a promuovere e promosse pubblicazioni di alto interesse filosofico nazionale e internazionale. Dapprima i volumi degli Atti che uscirono regolarmente dopo ciascun Convegno, successivamente dalle Case Editrici Marzorati di Milano, Liviana di Padova e Morcelliana di Brescia. Dopo il III Convegno del 1947 in seguito a trattative col Prof. Castelli Direttore dell’Istituto di Studi filosofici di Roma, che da una decina di anni stava preparando la compilazione di una Bibliografia filosofica italiana da1 1900 a1 1950, fu decisa la collaborazione del Centro gallaratese per l’edizione della medesima.

Alla fine del 1948, dopo il IV Convegno, un altro ardito progetto fu discusso: riprendere l’idea di un grande Dizionario filosofico che potesse competere col Wörterbuch der philos. Begriffe dell’Eisler; l’autorità e la compattezza del gruppo di professori aderenti al Movimento potevano dare affidamento alla possibilità di affrontare e di condurre a felice esito l’impresa.

Oltre ai Convegni e alle pubblicazioni si pensò a promuovere gli studi filosofici mediante l’assegnazione di premi e borse di perfezionamento.

Ma tutte queste iniziative, promosse dal Movimento di Gallarate, non sarebbero sorte, se quella dei Convegni non fosse stata sorretta dalla costante generosità di un eletto gruppo di industriali gallaratesi. Si tratta di un fenomeno più unico che raro: un gruppo di industriali che sostiene convegni di professori universitari di filosofia. Fenomeno strano, che ha suscitate le più vive ammirazioni specialmente dei rappresentanti stranieri, i quali, a più riprese e pubblicamente, confessarono che né in Francia, né in Belgio, né altrove si troverebbero industriali disposti a favorire congressi di filosofia. Ma, per fortuna, almeno tra noi v’è chi comprende che le azioni sono il frutto delle idee, e che, magari a lunga scadenza, le idee di alcuni sparuti e incomprensibili filosofi hanno provocato le imprese più ardite.


Dal lavoro di ricostruzione storica svolto da Flavia Chieffi, Dottoranda in Contemporary Humanism LUMSA, Roma – UCLy, Lyon (f.chieffi.dottorati@lumsa.com)

Indice

PRIMA PARTE. 2

Il movimento di Gallarate: una panoramica sul primo quarantennio (1945-1985) 2

I quattro periodi di Gallarate: la ricostruzione di Bortolin. 4

1.    Il primo periodo (1945-1956): la ricostruzione metafisica. 4

2.    Il secondo periodo (1957-1969): la difesa della persona umana. 5

3.    Il terzo periodo (1970-1977): Cristianesimo e filosofia. 6

4.    Il quarto periodo (1978-1985): la «nostalgia del fondamento». 8

Un quarantennio di riflessione filosofica cristiana: costanti ed evoluzioni. Un bilancio. 9

SECONDA PARTE.. 12

Il triennio ’86-’88: la risposta di Gallarate alle sfide della contemporaneità. 12

Limiti e lacune del primo quarantennio. 12

Il XII convegno (1986): Lo statuto epistemologico della filosofia. 12

Il XIII Convegno (1987): Imperativo e saggezza. 13

Il XIII Convegno (1988): Intelligenza naturale e intelligenza artificiale. 14

Conclusioni provvisorie. 16

PRIMA PARTE

Il movimento di Gallarate: una panoramica sul primo quarantennio (1945-1985)

Nel 1946, un anno dopo la fondazione del Centro Studi Filosofici di Gallarate, Giulio Preti sulla rivista «Studi Filosofici» accusava lo spiritualismo cattolico di aver dato rilievo «a una ricostruzione metafisica di tipo dogmatico e avulsa da ogni contatto con l’esperienza»[1]. Il progetto gallaratese, in un momento storico in cui tutto era da ricostruire, appariva completamente disimpegnato e avulso dai problemi del tempo. In realtà, scrive Pietro Prini celebrando i quarant’anni di vita del Movimento, quello di una «ricostruzione metafisica» era un impegno ben più reale e meno inattuale di quello che potesse apparire agli occhi di coloro che accusavano i protagonisti dell’impresa gallaratese di un “filosofare da collegio”.  Esso era «il compito eterno del filosofo, il ritorno nel centro dell’anima, il ritrovamento del senso di ogni costruzione nella sorgente stessa in cui può svelarsi il senso del nostro essere sulla terra»[2]. Prini, nelle parole che Heidegger pronunciò al secondo colloquio di Darmstadt del 1951, sul tema del rapporto tra uomo e spazio[3], coglie il senso della nascita del movimento e il suo scopo: «la follia della guerra – e di ogni forma di aggressività umana – ha origine nella perdita del senso dell’abitare dei mortali sulla terra. Ritrovare questo senso, nella crisi della sradicatezza dell’uomo, è ciò a cui chiama ogni autentico progetto di costruire o di abitare»[4].

Nell’agosto del ’45, a guerra appena terminata, il lavoro di ricostruzione, sollecitato dai vari piani della vita nazionale, era immenso. La stessa filosofia italiana, con l’esaurirsi della tradizione idealistica di Croce e Gentile, «che aveva unificato, nel consenso o nel dissenso, l’ambiente filosofico italiano nella prima metà del secolo», e il parallelo affermarsi di correnti di pensiero d’ispirazione straniera, «rivelava una profonda incertezza nel formulare una precisa risposta agli acuti e fondamentali problemi dell’uomo, proiettato nella sua integrale situazione storica»[5]. Maturò l’esigenza di una forza che raccogliesse e coordinasse le forze per la ricostruzione. Un gruppo di professori universitari, accomunati da una concezione della vita ispirata alla verità della Rivelazione cristiana, si impegnò per dare il proprio contributo alla ricostruzione – culturale, spirituale, umana – della società: «Il Movimento di Gallarate», scrivono Santinello e Brena nella relativa voce dell’Enciclopedia filosofica, «corrispose al bisogno squisitamente umano di raccogliere le forze per la ricostruzione, passata la bufera della guerra»[6]. L’obiettivo era quello di guidare la rinascita degli studi filosofici in Italia, favorendo un indirizzo almeno non anticristiano, nella convinzione che la ricostruzione, affinché fosse duratura, non poteva che cominciare dal pensiero.

Il prof. Padovani, sfollato a Gallarate da Milano, in un colloquio con padre Giacon auspicò una sollecita riunione di professori universitari in materie filosofiche. Senza conoscere la proposta di Padovani, il prof. Stefanini, una quindicina di giorni dopo, fece a Giacon lo stesso invito. «Il felice incontro delle idee obbligò a pensare una qualche concreta realizzazione», scrive Giacon, commentando retrospettivamente quei giorni[7]. A Pavia Giacon raccolse piena adesione da Sciacca, a Vallo da Guzzo, e a Bologna da Battaglia. Si costituì, così, il comitato promotore di quello che sarebbe divenuto il Centro di Studi Filosofici cristiani di Gallarate; comune era la «consapevolezza che, nella crisi e nel crollo conseguiti alle due guerre mondiali, anche per la filosofia si manifestava, come unico terreno saldo, di fronte a tante rovine materiali e spirituali, il Cristianesimo»[8]. Nei giorni 22, 23 e 24 ottobre si tenne il primo Convegno, sul tema: Orientamenti contemporanei della filosofia cristiane e delle filosofie non cristiane, primo Convegno di una lunga serie che arriva fino ad oggi.

Cosa vuole essere il Movimento di Gallarate? Abbiamo sopra menzionato la critica di Preti che accusava il progetto di astrazione e dogmaticità. Ma l’attività gallaratese, come ogni discorso filosofico, nasce in un contesto storico, e i problemi del filosofo non sono altro che le intime e drammatiche domande dell’uomo concreto, radicato nel suo tempo. Gallarate, infatti, volle essere un movimento di filosofi cristiani impegnati in una rinascita della filosofia cristiana nella cultura contemporanea. Felice Battaglia, in occasione del xx Convegno del Centro, disse: «In questi vent’anni sono stati trattati i temi fondamentali che interessano l’uomo contemporaneo nei suoi diversi aspetti. Non è stato un discorso rivolto al passato, ma un’indagine critica e profonda delle istanze della vita concreta e presente»[9]. Questi filosofi, esperti conoscitori del pensiero moderno e contemporaneo, non ne rimasero soddisfatti e cercarono in un pensiero ispirantesi al Cristianesimo il completamento da loro ricercato. La filosofia cristiana, nella pratica dei Convegni, fu tutt’altro che immobile ripetizione di una tradizione, e infatti caratteristica distintiva dell’attività del Movimento fu la viva presenza della cultura moderna come termine costante di dialogo, sfatando, così, il preconcetto dell’aridità della filosofia di matrice cristiana, della indifferenza e incapacità di rispondere ai problemi aderenti al proprio tempo[10].

I quattro periodi di Gallarate: la ricostruzione di Bortolin

La ricostruzione più completa ad oggi dell’attività gallaratese è quella realizzata da Valerio Bortolin in Tra ricerca filosofica e fede cristiana: il movimento di Gallarate, pubblicata nel 1990[11]. Il suo lavoro copre il primo quarantennio di attività del Centro, dal 1945 al 1985. Egli individua quattro periodi in cui può essere distinta l’attività dei Convegni; ad ogni periodo corrisponde un nucleo tematico dominante. Il primo periodo comprende i Convegni dal 1945 al 1956: dominante è il tema della ricostruzione metafisica della filosofia. Nel secondo periodo, dal 1957 al 1969, balzano in primo piano le questioni di carattere etico-pratico; l’attenzione è rivolta alla dignità della persona umana nel suo rapporto con la società. In questa fase si fa più esplicito il legame della riflessione del Movimento con la contemporaneità: i problemi concreti che la società contemporanea pone alla persona umana minacciano la sua dignità. Nel terzo periodo, comprendente i convegni dal 1970 al 1977, emerge in modo significativo il problema del rapporto tra religione e filosofia, tra fede e ragione. Questo tema, pur presente, più o meno esplicitamente, in tutti gli altri Convegni, è oggetto specifico di riflessione di questo periodo. Infine, il quarto e ultimo periodo individuato da Bortolin raccoglie i convegni dal 1978 al 1985. Al di là della molteplicità e diversità dei temi trattati, questi anni (1978-1985) sono caratterizzati dalla trasversale consapevolezza di un problema: la crisi della ragione che attraversa gran parte della filosofia contemporanea e i suoi esiti nichilistici e relativistici. Dinnanzi a questa crisi, i filosofi gallaratesi si impegnano per il suo superamento, riaffermando il valore della ragione e la possibilità di far riferimento a tavole valoriali incontrovertibili ma non affermate dogmaticamente.

1.     Il primo periodo (1945-1956): la ricostruzione metafisica

Il programma di fondo che accompagnerà la vita del Movimento, nello sviluppo delle sue tematiche e nel succedersi dei suoi protagonisti, si definisce sin da subito: se dal pensiero deve cominciare la ricostruzione, affinché essa sia duratura, dovrà essere ricostruzione metafisica. Se l’obiettivo è comune, diverse sono le vie, e ogni via giunge a far avere un diverso concetto della filosofia e – come scrive Giacon commentando gli interventi al primo convegno – una diversa risposta alla domanda: «che cosa è e che cosa dev’essere la filosofia», filosofia che, per Bongioanni doveva «far intendere l’uomo quale è oggi», e che per Stefanini, invece di mettere sotto accusa la ragione, aveva il compito di «chiederle che essa dia quanto può e deve dare»[12].

Protagonista del primo periodo è la metafisica e, in particolare, l’obiettivo di riaffermarne la possibilità contro l’antimetafisicismo moderno e contemporaneo, al fine di ricostruire un sistema filosofico basato su di essa. Questo obiettivo si declina con un confronto ad extra con la filosofia moderna e contemporanea: interlocutore privilegiato sarà il trascendentalismo kantiano, ritenuto responsabile di aver messo in crisi la metafisica, influenzando in senso antimetafisico le correnti filosofiche contemporanee. Il superamento dell’antimetaficismo, e la conseguente riaffermazione della necessità e possibilità metafisica, significava renderla nuovamente possibile nel contesto filosofico contemporaneo. Il dialogo ad intra tra i diversi indirizzi della filosofia cristiana trova invece un accordo pressoché unanime nel sostenere la necessità della riproposizione della metafisica e, in sostanza, il carattere essenzialmente metafisico della filosofia. Se sulla possibilità e necessità della metafisica i dialoganti sono sostanzialmente d’accordo, è sulla struttura e sul modo di svilupparla e fondarla che discorrono maggiormente. Sono due le scuole di pensiero che principalmente si fronteggiano: il tomismo neoscolastico che, identificando nell’Essere la nozione fondamentale a partire dalla quale è possibile la ricostruzione metafisica, promuove una “metafisica dell’essere”, e lo spiritualismo che, rivendicando l’unicità e irripetibilità dell’esperienza della persona, propone una “metafisica della persona”. È importante evidenziare che questo dialogo tra neoscolastica e spiritualismo non assumerà mai i caratteri di uno scontro escludente, ma a prevalere sarà sempre un atteggiamento conciliante, volto a mettere in luce la compatibilità degli indirizzi e la possibilità di una loro integrazione. I compiti e problemi dell’uomo contemporaneo non sono incompatibili con una metafisica dell’essere e possono essere integrati: una metafisica della persona è possibile, ma essa dovrà presupporre, dal punto di vista metodologico, la metafisica dell’essere. Allo stesso modo lo spiritualismo, proprio per rifuggire accuse di fideismo, volontarismo e soggettivismo, cercherà sempre più di dare rigore razionale alla propria metafisica[13].

2.     Il secondo periodo (1957-1969): la difesa della persona umana

I temi che i dialoganti furono chiamati via via a discutere abbandonarono ben presto un iniziale carattere di vaghezza, concretizzandosi e esplicitando sempre più il legame con la problematica storica più attuale. La complessa e plurale attività del Centro di Studi filosofici rivelò ben presto una profonda sensibilità alle istanze del pensiero filosofico contemporaneo, un’aspirazione a portare in campo una filosofia che, arricchita da prospettive teoretiche diverse, salda in un’identità di valori metafisici incontrovertibili, fosse orientata a interpretare «la complessa esperienza storica con critiche indicazioni di soluzioni, valide a risolvere le esigenze fondamentali dell’uomo oggi»[14].

La difesa della dignità della persona umana è la preoccupazione fondamentale che attraversa i Convegni di questo periodo, tema affrontato seguendo tre direzioni diverse ma complementari, che giungono alle medesime conclusioni. La prima direzione analizza il rapporto tra persona e società, con l’obiettivo di affermare che lo scopo dei diversi aspetti presi in esame – politica, economia, sviluppo scientifico e tecnologico – è di essere al servizio dell’uomo, contribuendo alla crescita della sua umanità. Una seconda prospettiva si confronta con le scienze umane, scienze che hanno per oggetto d’indagine l’uomo ma che rischiano di lederne la dignità, polverizzandone la specificità della sua natura, e ponendolo sullo stesso piano degli altri esseri viventi; così facendo, esse hanno dato inizio a quel processo che ha portato, per ultimo, a proclamarne la morte. Infine, è affermata l’essenzialità della dimensione religiosa alla persona umana: la dignità e il valore dell’uomo trova consistenza solo in Dio.

Se solo la filosofia riesce a cogliere, diversamente dalle altre scienze, l’uomo come soggetto e non come oggetto, allora la difesa della filosofia va di pari passo con la difesa della persona umana. Gli intervenuti, infatti, furono concordi nel riconoscere alla filosofia, soprattutto in quanto metafisica, il carattere di conoscenza necessaria, seppur permangano ancora le divergenze sul modo di concepirla. Ancora una volta, accordo nel contenuto, diversità metodologica e teoretica nell’intenderlo.

3.     Il terzo periodo (1970-1977): Cristianesimo e filosofia

Nel terzo periodo, collocato da Bortolin tra il ’70 e il ’77, si ritorna a discorrere del rapporto tra filosofia e Cristianesimo, rapporto che era già stato oggetto di discussione agli albori del Movimento, in maniera eminente nei primi due Convegni[15]. Negli anni ’70 si sente nuovamente il bisogno di riproporre tale tema ma declinandolo in termini parzialmente diversi. Il progressivo e sempre maggiore riferimento alla contemporaneità diviene sempre più evidente: ci si interroga sulla possibilità di un filosofare cristiano oggi, ci si confronta con le filosofie e teologie contemporanee[16].

Per quanto riguarda il rapporto tra filosofia e teologia, si discute sulla possibilità della filosofia di accogliere, al suo interno, problematiche tipiche della fede cristiana; nei Convegni degli anni ’71, ’72 e ’75 si affrontano, infatti, temi al confine tra filosofia e teologia. In parallelo, netta è la critica di ogni tentativo di secolarizzazione della fede, di riduzione di essa ad una prospettiva puramente umana, a mero riflesso di ideologie mondane (ça va sans dire, l’interlocutore privilegiato è qui il marxismo). L’esigenza di affrontare ancora una volta il tema fede-ragione, e il legame con le urgenze dell’oggi, è reso esplicito dall’intervento di Bontadini al xxix Convegno: «in tutti si fece più vivo il desiderio di affrontare filosoficamente argomenti di natura religiosa e teologica: perché tutt’intorno, nei libri, nelle riviste, nei settimanali, nei giornali, alla radio, alla televisione, venivano presentati temi e uomini che ponevano i più gravi e scottanti problemi intorno all’esistenza e alla vita, intorno all’uomo e al suo destino. Mentre per un verso si andava verso la secolarizzazione, la dissacrazione dell’esistenza e della vita, verso umanismi soddisfatti dei progressi delle scienze e delle tecniche, per un altro verso gli eterni problemi della vita umana ricomparivano in ideologie e utopie che avevano per oggetto qualcosa di assoluto, si appellassero pure a Marx, o a Hegel, o a Heidegger: erano teologie. E si incominciò a discuterne anche ai convegni di Gallarate»[17].

Discorrendo sulla possibilità di una filosofia cristiana, ed essendo la filosofia identificata con la metafisica, spontaneo è interrogarsi sul bisogno della metafisica da parte della fede e, nel caso, di quale metafisica essa abbia bisogno. Questo interrogativo si inseriva nel contesto di consapevolezza della crisi della metafisica intesa come scienza nella cultura contemporanea, consapevolezza che conduceva al riconoscimento che «l’essenza della fede è di essere situata in un mondo in cui è possibile il dubbio metafisico». Tali interrogativi condurranno a riproporre – nel quarto periodo – il problema della metafisica, non più in vista di una sua ricostruzione, ma come problema del senso stesso della sua domanda[18].

Alla crisi della filosofia come metafisica, corrisponde la crisi di una concezione soprastorica e unitaria della natura umana, tema emerso, come abbiamo visto, nei Convegni del periodo precedente. La constatazione di tale crisi porta a riaffermare la necessità di dare una nuova espressione filosofica al valore della natura umana, esigenza che si traduce nella richiesta – riprendiamo qui le parole di Santinello – di «un’antropologia gallaratese», che tenga conto dell’antropologia implicita nella fede cristiana[19]. D’altra parte, per salvare l’uomo dalla dissoluzione operata dalle scienze umane non basta il solo momento teorico: a una filosofia della contemplazione deve accompagnarsi una filosofia dell’azione. Risalta il risvolto pratico presente sin dal principio nelle intenzioni del Movimento, ma oscurato dalla trattazione di questioni teoretiche e di fondazione: il filosofo cristiano non può accontentarsi di delineare teoreticamente un’antropologia, ma deve impegnarsi concretamente per la liberazione e promozione dell’umano[20].

4.     Il quarto periodo (1978-1985): la «nostalgia del fondamento»

Il problema della crisi della ragione metafisica, sottofondo sempre presente nelle discussioni gallaratesi, diviene il problema maggiormente avvertito negli anni ’78-‘85. La crisi della metafisica si inserisce nel contesto di una crisi più generalizzata del valore della ragione umana, della sua capacità di raggiungere una verità che non sia contingente e storica. Essa è conseguenza della crisi della razionalità scientifica, conquista della modernità, che portò a mettere in dubbio la possibilità di un fondamento razionale della realtà. Ma venendo meno la fiducia nella ragione, si impone la ragione della forza: l’atteggiamento di violenza diffuso nella società vede come sua causa ultima la negazione di qualsiasi fondamento ontologico e assiologico. Relativismo e nichilismo, nuovi volti della situazione culturale attuale, sono l’esito della fine della modernità e della relativa fiducia nella razionalità del reale e all’origine della violenza che minaccia la convivenza civile: la negazione del fondamento ontologico è perdita di una possibilità di ancoraggio solido anche per i valori etici che regolano i rapporti in società. Di qui, l’impegno dei filosofi cristiani, non solo descrittivo, ma anche di aprire una nuova strada che porti al recupero di un fondamento in campo metafisico, e quindi morale.

Significative, ancora una volta, le parole di Bontadini: «La crisi della metafisica oggi è un dato di fatto; che lo sia anche di diritto è cosa tutta da ridiscutere. Questa ridiscussione dovrebbe essere il compito di Gallarate»[21]. Se l’oggi è antimetafisico, si tratta di discutere se ci sia spazio per una nuova metafisica, e che tipo di metafisica essa debba essere. Se nel valore e nella necessità della metafisica gli interlocutori di Gallarate trovano un consenso unanime, è sul valore epistemologico di essa che si discute. Alla metafisica come scienza, come «discorso breve», capace però di raggiungere un sapere incontrovertibile, si affianca la metafisica come sapere allusivo la quale, consapevole della sproporzione tra la ragione umana e Essere assoluto, abbandona la pretesa di dire come sono fatte le cose, mettendo in luce l’aspetto di metaforicità del reale, del carattere di rimando proprio di ogni discorso umano. La metafisica allusiva è, così, apertura al mistero della realtà, apertura nel profondo dove si apre lo spazio per la fede. In questa direzione, significativo è il xl Convegno dedicato a Giambattista Vico. La metafisica vichiana è connessa ad un profondo afflato religioso che, però, non si serve del metodo logico-deduttivo della razionalità moderna, ma degli elementi mai pienamente razionalizzabili della storia, della poesia e del mito[22]. L’interesse verso Vico riflette, dunque, una nuova fiducia nella possibilità della rinascita di una metafisica che pur tenga conto delle istanze storiche ed ermeneutiche proprie del pensiero contemporaneo. «Il filosofo cristiano», scrive Prini celebrando i Quarant’anni del Movimento, «ha il compito di insegnare e di testimoniare questa presenza del Sacro là dove l’esperienza s’innalza alla luce del poetico, dell’etico e del religioso»[23].

Un quarantennio di riflessione filosofica cristiana: costanti ed evoluzioni. Un bilancio

Metafisica, attenzione alla persona umana e apertura filosofica alla problematica religiosa, in particolare al Cristianesimo, sono le tre tematiche principali che hanno dominato questo primo quarantennio di attività gallaratese. È doveroso rilevare che queste tre tematiche, seppur ognuna sia maggiormente presente in un determinato periodo piuttosto che in un altro, non vengano mai abbandonate ma siano sempre in qualche modo compresenti in tutti i periodi individuati. Il loro coesistere è necessario e trova la sua intima ragione nel concetto di filosofia cristiana, tema sempre presente, seppur spesso implicitamente, che influisce sul modo di affrontare e di rapportare le tre tematiche tra loro. Il concetto di filosofia cristiana non è sullo stesso piano degli altri temi ma – come giustamente fa notare Bortolin al termine della sua analisi dei Convegni – «illumina e dà significato al resto»[24]. Bontadini, nell’intervento già citato del ’74, riflettendo su filosofia e teologia in Italia dall’inizio dell’attività gallaratese, scrive: «l’interesse religioso e teologico è sempre stato presente nei partecipanti ai convegni, e non poteva non essere così, trattandosi di convegni di “filosofici cristiani”. […] la preoccupazione radicale era ancorare a una solida base filosofica l’itinerarium mentis in Deum»[25]. Sempre Bontadini, nell’introduzione al xxix Convegno: Filosofia e teologie contemporanee, abbozza una «storia di Gallarate», dei 29 anni di attività del centro, con l’intento di mostrare che il rapporto filosofia-teologia, fede-ragione sia stato il sottofondo di tutti gli altri temi, il centro dell’attenzione, il traguardo cui tutti miravano[26].

Se fin da subito, tra i partecipanti al Convegno, ci fu un sostanziale accordo circa possibilità di un rapporto positivo tra fede e ragione, possibilità che giustifica e caratterizza l’esistenza stessa del Movimento, diverso è stato il modo di concepire questo rapporto, e di conseguenza il modo di sviluppare il discorso filosofico. Due le posizioni che sin da subito si delinearono, e che conosceranno un ricco sviluppo nel corso degli anni di attività di ricerca, anche e soprattutto in virtù del dialogo che si verrà a istituire e a complicare sempre più. Da una parte i tomisti, fiduciosi nella capacità della filosofia di arrivare autonomamente, razionalmente, alla dimostrazione delle verità di fede cristiana. Dall’altra, gli spiritualisti che, seppur non neghino valore alla ragione umana, rifiutano ogni assolutizzazione e negano la possibilità che l’uomo possa giungere, per sola via rationis, a Dio. Il dialogo tra le due posizioni si complica nel tempo, anche in virtù di un sempre maggiore confronto con le problematiche (filosofiche e non) della contemporaneità.

Se all’inizio dei lavori gallaratesi prevale l’idea di costruire una filosofia cristiana, verso la fine del quarantennio si impone, con la domanda sul senso della metafisica, la domanda sul senso di una filosofia cristiana. Ed è sul senso che la differenza tra tomisti e spiritualisti diviene più radicale, perché riguarda il modo di concepire il rapporto tra ragione e fede, privilegiando, essenzialmente, uno dei due momenti. Le due prospettive, però, non sono completamente alternative. Condividiamo il giudizio di Bortolin quando scrive che queste due posizioni sono complementari, riconducibili ai due termini a cui necessariamente deve riferirsi una filosofia cristiana: fede e ragione, messi in rapporto senza poter mai raggiungere una sintesi definitiva, ma senza mai escludersi a vicenda[27].

Con il complicarsi della domanda e della riflessione sul senso della filosofia cristiana, le tre tematiche ad essa connesse – metafisica, persona umana e problema religioso – conoscono una progressiva problematizzazione, concretizzazione e complessificazione, specchio di un confronto con la minaccia reale di una contemporaneità sempre più problematica, incerta e ambigua. In questa complessità si vuole salvare il ruolo della filosofia nella difesa della dignità della persona umana, minacciata dai pericoli della riduzione scientista, così come dal potere politico ed economico. L’invocazione della filosofia come strumento di salvezza non si riduce a mera apologia, ma conduce la stessa filosofia cristiana a ripensarsi criticamente nel confronto: la critica dello scientismo e della contemporaneità non deve decadere in mera esortazione o predica morale, in retorica dell’anima bella, ma divenire impegno concreto, coraggio di denuncia e ripensamento di quelle stesse posizioni della riflessione cristiana che, dinanzi alle sfide della contemporaneità, confidano dogmaticamente nell’intangibilità di un’astratta tavola valoriale. Possiamo dire che il senso ultimo che ha guidato tutti quegli incontri, è stato infondo sempre la «continua ricerca d’identità del filosofare del credente»[28], l’esigenza di un continuo confronto tra uomini che più che condividere una verità filosofica incontrovertibile, condividono un problema, il problema del rapporto tra il loro essere filosofi e la loro fede.

Esiste, allora una «filosofia gallaratese»? Bortolin, con tono critico, lamenta il fatto che, con il procedere degli incontri tra i filosofi cristiani, si sia lasciato un po’ alla volta «perdere il tentativo di arrivare a una sostanziale unità della filosofia cristiana, così vivo e sentito nei primi convegni»[29]. Ma l’intento di Gallarate, o meglio, la sua più autentica destinazione, era davvero giungere a una conclusione, ad un “manifesto”, alla definizione sistematica di una filosofia cristiana? Santinello e padre Brena scrivono nell’Enciclopedia riguardo al Movimento di Gallarate: «Il Movimento di Gallarate esprime un indirizzo speculativo che sviluppa la propria indagine nell’ambito di una comune ispirazione cristiana del mondo e della vita, non legato però ad alcuna corrente filosofica, ma aperto a tutta una varietà di orientamenti che nel dialogo trovano alcune fondamentali linee di accordo, tali da mantenere l’unità del tutto e la reciproca comprensione tra i singoli spettatori. È stato questo lo scopo precipuo dell’iniziativa»[30]. La filosofia cristiana è stato il denominatore comune che ha permesso a questi filosofi di entrare in dialogo tra loro, ma proprio in virtù della complessità, plurivocità, ambiguità del reale, questo dialogare non ha mai potuto esaurirsi in una formula definitiva. Così, il risultato più evidente, e la conquista più rilevante raggiunta a Gallarate fu proprio il riconoscimento del carattere dialogico e plurale del filosofare cristiano. La richiesta di una “filosofia di Gallarate” sarà inevitabilmente delusa e questo perché estranea alla vocazione più autentica del Movimento. Scrive Santinello: «Anche nei tempi più felici delle sue origini e del suo primo sviluppo Gallarate è stata pluralista. Vi si affrontavano […] almeno due indirizzi filosofici, denominati, più o meno concordemente, metafisica classica e spiritualismo. […] Se Gallarate ha avuto origini nel pluralismo – e fu una felice ventura – sarebbe strano che oggi, in tempi di magra filosofica, vi fosse un’antropologia bella e pronta che ci trovasse tutti concordi. […] occorre che l’antropologia filosofica non esaurisca in formule quanto ha da dire intorno all’uomo, ma lasci aperti molti varchi, che permettano di intravedere e di approfondire sempre più, senza la pretesa di definire una volta per tutte»[31]. Di fronte alla complessità culturale, politica, economica della contemporaneità, è necessario un pensare complesso, pensare che trova il suo luogo d’elezione in quel dialogo plurale che ha caratterizzato, fin dagli esordi, l’attività del Movimento di Gallarate.

SECONDA PARTE

Il triennio ’86-’88: la risposta di Gallarate alle sfide della contemporaneità

Limiti e lacune del primo quarantennio

Redigendo un bilancio finale di quel laboratorio di filosofia cristiana che fu il primo quarantennio di attività di Gallarate, Bortolin ne evidenzia anche limiti e lacune. Un primo limite è individuato nella scarsa attenzione nei confronti della scienza in generale e della riflessione filosofica su di essa. Il confronto con le discipline scientifiche, quando ha avuto luogo, per Bortolin ha mostrato un carattere per lo più apologetico, volto a riaffermare la superiorità del punto di vista filosofico su quello scientifico, mostrando più un atteggiamento difensivo che una predisposizione al dialogo, a lasciarsi interpellare e a stimolare dai risultati di queste discipline. Altro punto critico, connesso a questo primo limite, messo in risalto da Bortolin è il carattere di astrattezza della riflessione dei Convegni: di fronte alle sfide della politica, dell’economia e della scienza, le risposte del Movimento sembrano spesso legate ancora a un tipo di morale giudicativo-esortativa, che però stenta a concretizzarsi, proprio in virtù di un atteggiamento difensivo e non inclusivo dell’apporto delle scienze (umane e non)[32]. Le parole di Bortolin suonano quasi profetiche perché proprio di lì a poco saranno smentite dalla stessa evoluzione della ricerca gallaratese.

Il XII convegno (1986): Lo statuto epistemologico della filosofia

Il convegno del 1986 si apre con una presentazione di Prini, dal titolo: La crisi d’identità della filosofia. Se dopo la fine della guerra la filosofia italiana aveva vissuto una vivace ripresa, grazie anche all’intensa attività gallaratese, verso la metà degli anni ’80 appare nuovamente in crisi. L’imporsi del paradigma delle scienze positive come modello di scientificità è il primo responsabile della criticità in cui versa la filosofia. È morta dunque la filosofia in questa sua risoluzione nella scienza? Chi ne dichiara la morte non fa altro che equivocarsi. Evitare che la filosofia si risolva in una delle tante scienze, permettere che essa operi all’interno di esse in un contesto che oltrepassa un semplice rapporto interdisciplinare, è possibile e questa possibilità risiede nel recupero dell’identità stessa del filosofare[33].

La filosofia non è pura astrazione ma parte dall’empiria, seppur non sia da questa limitata: il riferimento all’empirico non è sua condizione definitoria. La filosofia, infatti, è sì scienza, ma non secondo il modello culturalmente più diffuso, quello delle scienze intese come discipline specializzate e settoriali. Se la scienza moderna limita il suo ambito di sapere all’intero dell’esperienza, oggetto della filosofia è l’intero tout court: nessun tipo di realtà le risulta estraneo, è un sapere senza confini prestabiliti[34]. L’assenza di delimitazioni, l’essere rivolta all’intero, non la inchioda, però, all’astrazione: essa parte dall’esperienza, è aperta alla totalità della presenza mondo, non limitandosi però a ciò che esso è ma guardando a ciò che può divenire, al possibile. Gli interlocutori del xli Convegno trovano un punto di convergenza nel sostituire all’idea aristotelica della filosofia come «scienza» l’idea della filosofia come «sapere operativo»: partendo dall’esperienza, la filosofia ne ricerca il senso unitario, aprendo il mondo a una verità che lo oltrepassa, guardando a ciò che esso può divenire[35]. Questo sguardo “profetico” della conoscenza filosofica ne rivela il risvolto pratico. Inoltre, proprio nel suo essere sapere dell’intero, la filosofia svolge, quasi paradossalmente, una funzione antimetafisica a vantaggio delle scienze, delimitandone i rispettivi ambiti. Infatti, a tal proposito, nel suo intervento Agazzi fa presente che troppe volte si è assistito al trasformarsi delle scienze in cattivi surrogati di cosmologie, antropologie filosofiche, metafisiche materialistiche, e questo perché non si riusciva a spegnere l’esigenza, intrinsecamente umana, di un’unificazione razionale e di una spiegazione ultima. Se si riconosce invece alla filosofia il ruolo di luogo legittimo di sapere, dove queste esigenze possono essere soddisfatte, le stesse discipline scientifiche riescono a salvaguardare la propria legittimità, rimanendo nei propri confini che ne sanciscono la validità[36].

Il XIII Convegno (1987): Imperativo e saggezza

Nel xlii convegno la riflessione sull’identità della filosofia, caratterizzata nel xli convegno come «sapere operativo», procede di pari passo con la riflessione sull’identità dell’essere umano, continuando così la riflessione dell’anno precedente. La caratterizzazione pragmatica, pratica del sapere filosofico conduce, necessariamente, a riflettere sull’agire umano: è il possibile – scrive Flores d’Arcais nell’Introduzione – il carattere che contraddistingue l’ambito della prassi umana, ambito in cui l’uomo è guidato dalla razionalità nella sua declinazione pratica, dalla phrónesis[37].

La filosofia pratica, nella sua accezione aristotelica, è accolta come modello della filosofia come sapere operativo, la cui pretesa è – scrive Gadamer nel suo intervento – «non solo sapere cosa è il bene, ma anche contribuire ad esso»[38], determinando la condotta e la prassi umana. Se nel convegno dedicato allo statuto epistemologico della riflessione filosofica gli interlocutori avevano rigettato la nozione aristotelica di filosofia come scienza, a vantaggio di una nozione “operativa” di filosofia, è ancora ad Aristotele che ci si rivolge, in quanto fondatore della filosofia pratica, per la sua caratterizzazione. Gadamer scrive: «Aristotele divenne il fondatore della filosofia pratica quando la pose interamente sul suo proprio fondamento di contro all’ideale della scienza, dei mathemata, e non la trattò come una specificazione della filosofia teoretica. Il bene umano, sul quale si interroga Aristotele, egli lo delimitò in aperta polemica contro l’idea universale di bene»[39].

Se prima non è l’idea universale di bene ma il to hoti, il “fatto che”, questione vitale della filosofia pratica non potrà che essere quella di sapere «quale compito può avere in linea di principio la filosofia nell’ambito della prassi morale e politica»[40]. Tale sapere, per raggiungere il suo scopo, deve però «emergere dall’essere dell’uomo, dalla sua essenza umana, dal suo carattere, dalla sua confermazione del suo intero contegno»[41]. La peculiarità dell’essere dell’uomo, nell’ambito della prassi, è identificata nell’essere condotto non tanto da razionalità, quanto da saggezza pratica, da phrónesis. La phrónesis, però, non è èthos che esclude lógos. Gadamer avvisa che la distinzione è esclusivamente metodica: la virtù, per Aristotele, è «un comportamento con lógos», il pensare è intrinseco al comportamento. Nel continuo dialogo fra Aristotele e Kant che attraversa gli interventi dei relatori, la ragione nella sua accezione pratica emerge come specifico dell’uomo. All’uomo e alla sua ragion pratica Gadamer assegna, alla fine del suo intervento, un compito: «L’umanità sopravvivrà nel caso che riesca, mediante una superiore ragionevolezza, una phrónesis nell’antico senso aristotelico, a mettere sotto controllo la spaventosa potenza distruttrice che grazie alla scienza è giunta nelle mani dell’uomo»[42].

Il XIII Convegno (1988): Intelligenza naturale e intelligenza artificiale

Gadamer nell’incontro gallaratese dell’87 si era fatto portavoce di una diffusa inquietudine sull’ampliamento del potere scientifico-tecnico e delle sue conseguenze per l’umanità, inquietudine che trova il suo luogo di analisi puntuale e costruttiva nel convegno dell’88 dedicato al confronto fra «intelligenza naturale» e «intelligenza artificiale».  Il xliii convegno è un convegno apparentemente atipico, atipia che in verità restituisce la natura dialogica e plurale del filosofare gallaratese, un filosofare non astratto ma attento ai problemi dell’uomo nel mondo. A riprova di ciò, data l’indole del tema che fa dialogare l’antropologia filosofica con le ricerche delle scienze positive, per la prima volta furono coinvolti fra i relatori anche scienziati delle tre aree di ricerca maggiormente coinvolte: intelligenza artificiale, neurofisiologia e psicologia sperimentale. Allo stesso tempo, la rilevanza filosofica della questione oggetto di questo convegno non è – come ben sottolinea Salvino Biolo nella Presentazione – solo legata a considerazioni storico-sociologiche del vivere, di fatto, nell’era della terza rivoluzione industriale. Coerentemente con quella visione della filosofia “impegnata”, caratterizzante l’impresa gallaratese, legata all’empiria ma non limitata da essa, non al servizio del mondo ma alla ricerca di un senso unitario dell’esperienza per orientare la prassi umana non solo nel presente, delineando scenari possibili, Biolo scrive: «Quando si discute sul rapporto fra la mente e la macchina, come quando si discute sull’ingegneria generica o si affrontano problematiche ecologiche a livello planetario, non è più solo questione di identità e sopravvivenza del “popolo dei filosofi”, bensì dell’uomo stesso»[43]. L’inquietudine espressa da Gadamer sulla criticità di un’umanità in balìa dell’inarrestabile sviluppo tecnologico-scientifico, trova nel convegno dell’87 un luogo costruttivo di discussione ove l’evidenziazione della specificità dell’intelligenza naturale umana non conduce alla demonizzazione dell’artificiale della scienza.

Nonostante la differente formazione dei relatori, impegnati in campi specialistici e, apparentemente, assai poco comunicanti, si raggiunse un risultato unitario, e a tutti apparve chiaro «il motivo per il quale l’uomo possiede una intrinseca superiorità non solo in confronto dell’animale, ma anche verso quegli strumenti meravigliosi che è capace di fare: strumenti che addirittura hanno il compito di emularne le funzioni fra le più alte che egli possiede, ossia quelle legate alla capacità di eseguire operazioni inferenziali su oggetti simbolici»[44]. Superiorità dell’intelligenza umana rispetto agli strumenti che crea e, che quindi, «portano l’impronta dello spirito che li ha progettati, costruiti, programmati», spirito che è «talmente intelligente da lasciare ad una macchina l’onere di eseguire i compiti più meccanici della sua stessa intelligenza, e di farsi superare in questa capacità dalla macchina stessa»[45]. In questo Convegno, forse più di ogni altro, le preoccupazioni di Bortolin vengono smentite: il dialogo tra filosofia e scienza cessa di essere apologetico a vantaggio della prima, e diviene scambio concreto, interazione proficua e costruttiva, occasione di crescita e miglioramento anche per l’intelligenza umana stessa. Infatti, è unanimemente riconosciuto dai partecipanti come tutto ciò sia «realtà che sfida l’uomo a tirare fuori di sé lo specifico della sua intelligenza, contro comodi rifugi nell’approssimazione». Questo specifico dell’intelligenza umana appare, nel Convegno, in tutta la sua chiarezza col suo nome filosoficamente proprio: «intenzionalità»[46].

Nel suo intervento Agazzi, con grande acume, fa notare come il vero problema non sia strettamente tecnico, e cioè il fatto che le «macchine intelligenti» sostituiscano l’uomo nell’esecuzione di parecchie operazioni: dagli albori della civiltà l’uomo si è fatto surrogare nell’esecuzione di molti suoi compiti da animali o da macchine. Piuttosto ciò che provoca la domanda filosofica è l’uso dell’aggettivo «intelligente»[47]. Il confronto con l’intelligenza artificiale, con i progressi della scienza, stimola la riflessione filosofica a riflettere nuovamente su concetti dati per acquisiti, a riappropriarsi della specificità del proprio ruolo. Quando si mette tra parentesi la specifica natura tecnologica dell’intelligenza artificiale, e le si attribuisce una «funzione modellistica nel tentativo di conoscere e spiegare l’uomo», lì la filosofia è richiamata al suo compito: evitare che allo scopo emulativo della tecnologia – fare altrettanto bene, e se è possibile meglio, attraverso la macchina, ciò che l’uomo fa – si aggiunga uno scopo simulativo, che a un fine pratico si sostituisca un fine conoscitivo. In questo senso, la questione dell’intelligenza artificiale non può essere ignorata da qualunque seria antropologia filosofica; essa nasconde una pretesa metafisica di voler spiegare come la realtà è nella sua essenza, offrendo una spiegazione pericolosamente riduzionistica in quanto fa di un singolo aspetto della realtà il principio ultimo e omnicomprensivo: l’identità di funzione non è, necessariamente, identità di natura[48]. Se però l’intelligenza artificiale si mantiene nei suoi confini legittimi, pur trattandosi di una disciplina scientifica, specificatamente orientata ad applicazioni tecnologiche, essa contribuisce – ed è forse questo il risultato più inaspettato e significativo del lxiii Convegno – «a far meglio conoscere ciò che è l’uomo»[49].

Conclusioni provvisorie

L’importanza del primo convegno stava nella possibilità che si concludesse con una sorta di “manifesto metodologico” dei filosofi cristiani, sulla scena confusa dei movimenti filosofici del secondo dopoguerra. Si trattava di confrontarsi con gli orientamenti più recenti della filosofia cristiana e non cristiana, alla ricerca di una propria identità e, quindi, di un proprio senso nella e per la contemporaneità. Tre sono le tematiche che, nel primo quarantennio, tornano, si ripetono, si intrecciano e si complicano: il problema di Dio, la difesa della dignità umana e di un’autentica esperienza morale, il problema della metafisica. Tre tematiche non arbitrariamente scelte, ma necessarie perché implicite nel concetto stesso di «filosofia cristiana»: una filosofia cristiana non può dirsi tale se non affronta il problema religioso, se non si pone come difesa della persona umana e della sua dignità. Essa, mirando a raggiungere il fondamento ultimo della realtà, richiede poi un’analisi che partendo dall’esperienza la superi: richiede, in altri termini, la filosofia come metafisica.

All’accordo su contenuti e problemi, tipici di una filosofia cristiana, testimoniato dal ritorno costante di queste tematiche negli interventi nel corso degli anni di attività del Centro, fa riscontro una varietà di impostazioni e soprattutto di metodi. Questa divergenza, a nostro parere, non è stata e non è limite, ma ricchezza e peculiarità del Movimento gallaratese. Il fatto che non venga raggiunto un manifesto metodologico, che non si arrivi a una «filosofia di Gallarate» è, dal nostro punto di vista, coerenza con quell’impegno che i filosofi gallaratesi presero fin dal principio con il proprio tempo, quel compito di «ricostruzione», di rispondere alle intime e drammatiche domande dell’uomo concreto, radicato nel suo tempo e nella storia. La ricca attività filosofica gallaratese, proprio nel non giungere a una definizione filosofica sistematica, rivela una particolare sensibilità alle vive istanze della contemporaneità, mantenendosi sempre aperta nel dialogo, saggiando la propria capacità di articolarsi e appropriarsi delle esigenze delle filosofie contemporanee nei loro indirizzi più diversi, di lasciarsi arricchire da diverse prospettive teoretiche. In questo modo, Gallarate riesce a sfatare il preconcetto dell’aridità della filosofia di matrice cristiana, della indifferenza e incapacità di rispondere ai problemi del tempo, mostrandosi invece capace di appropriarsene, di essere «sapere operativo» capace non solo di interpretare la complessa esperienza storica, ma anche di indicare soluzioni valide a rispondere alle esigenze dell’uomo storico. Se è ritorno e ripetizione di quei valori metafisici indiscutibili su cui si fonda una filosofia cristiana, in ogni ritorno la riflessione gallaratese si rinnova e si arricchisce, perché è ritorno del pluralismo che caratterizzò fin dal principio l’attività dei Convegni, pluralismo in cui ogni volta si riforma mostrandosi, così, all’altezza dei problemi del proprio tempo.

Flavia Chieffi

f.chieffi.dottorati@lumsa.it

Bibliografia

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Metafisica, oggi. Nuovi interventi in un dibattito sempre attuale: Contributi al xxxvii Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate (7,8,9 aprile 1982), Morcelliana, Brescia 1983.

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Lo statuto epistemologico della filosofia: Contributi al xli Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate. Aprile 1986, Morcelliana, Brescia 1989.

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S. Biolo (a cura di), Intelligenza naturale e intelligenza artificiale: Contributi al xliii Convegno del Centro di Studi Filosofici di Gallarate (aprile 1988), Marietti, Genova 1991.

Studi\scritti su Gallarate (in ordine cronologico):

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G. Caletti, Nel decennale del centro di studi filosofici di Gallarate, «Gregorianum», vol. 36, n. 1(1955).

C. Giacon, Il movimento di Gallarate. I dieci convegni dal 1945 al 1954, CEDAM, Padova 1955.

A. Babolin, Il movimento di Gallarate. I dieci convegni dal 1955 al 1965, Pàtron, Bologna 1966.

V. Bortolin, Tra ricerca filosofica e fede cristiana: il movimento di Gallarate, Gregoriana editrice, Padova 1990.

G. Santinello, G.L. Brena, Gallarate, Movimento di, in Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate (a cura di) Enciclopedia filosofica, Foer-Hatt, Bompiani, Milano 2010, vol. VII.

Altro:

M. Heidegger, Costruire, abitare, pensare, in Id., Saggi e discorsi, tr. di G. Vattimo, Milano 1975.


[1] G. Preti, Lo spiritualismo cattolico, in «Studi Filosofici», 4(1946), pp. 47-64.

[2] P. Prini, Quarant’anni di vita del Movimento di Gallarate (1945-1985), in Giambattista Vico. Poesia, Logica, Religione: Contributi al XL Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate, Aprile 1985, Morcelliana, Brescia 1986, pp. 13-15.

[3] M. Heidegger, Costruire, abitare, pensare, in Id., Saggi e discorsi, tr. di G. Vattimo, Milano 1975.

[4] P. Prini, Quarant’anni di vita del Movimento di Gallarate (1945-1985), cit., p. 15.

[5] A. Babolin, Prefazione, in Id., Il movimento di Gallarate. I dieci convegni dal 1955 al 1965, Pàtron, Bologna 1966, p. 3.

[6] G. Santinello, G.L. Brena, Gallarate, Movimento di, in Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate (a cura di) Enciclopedia filosofica, Foer-Hatt, Bompiani, Milano 2010, vol. VII, p. 4545.

[7] C. Giacon, Il movimento di Gallarate. I dieci convegni dal 1945 al 1954, CEDAM, Padova 1955, p. 5.

[8] Ibidem.

[9] F. Battaglia, in AA.VV., Tempo ed eternità nella condizione umana: Atti del xx Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate tra professori universitari – Gallarate 1965, Morcelliana, Brescia 1966, pp. 17-18.

[10] Cfr. G. Caletti, Nel decennale del centro di studi filosofici di Gallarate, «Gregorianum», vol. 36, n. 1(1955), p. 100.

[11] V. Bortolin, Tra ricerca filosofica e fede cristiana: il movimento di Gallarate, Gregoriana editrice, Padova 1990.

[12] Giacon, Il movimento di Gallarate, cit., p. 14, pp. 17-18.

[13] Rimando a Bortolin, Tra ricerca filosofica e fede cristiana, per approfondire l’analisi dei Convegni del primo periodo: cfr. pp. 33-109, pp. 353-369.

[14] Babolin, Prefazione, cit., p. 10.

[15] Il primo convegno – (22-24 ottobre 1945), Editoria Liviana, Padova 1951; Filosofia e Cristianesimo: Atti del II Convegno italiano di studi filosofici cristiani – Alosianum – Gallarate(4-6 Settembre 1946), Marzorati Editore, Milano 1947.

[16] Qui richiamiamo i Convegni xxix e xxxii: Filosofia e teologie contemporanee: Atti del xxix convegno del centro di studi filosofici tra professori universitari – Gallarate 1974, Morcelliana, Brescia 1975; Il senso della filosofia cristiana oggi: Atti del xxxii Convegno del Centro di Studi filosofici di professori universitari – Gallarate 1977, Morcelliana, Brescia 1978.

[17] G. Bontadini, Filosofia e teologia in Italia dall’inizio del movimento di Gallarate, in Filosofia e teologie contemporanee, cit., pp. 24-25.

[18] Prini, Quarant’anni di vita del Movimento di Gallarate, cit., p. 23.

[19] G. Santinello, L’antropologia filosofica di «Gallarate», in Il problema filosofico dell’antropologia: Atti del xxxi Convegno del Centro di Studi filosofici tra professori universitari – Gallarate 1976, Morcelliana, Brescia 1977.

[20] Cfr. Bortolin, Tra ricerca filosofica e fede cristiana, cit., p. 279. Per un approfondimento analitico sui Convegni di questo periodo si veda sempre Bortolin, cit., pp. 209-279.

[21] G. Bontadini, Confronto fra due Convegni sulla metafisica a distanza di trentatré anni, in Metafisica, oggi. Nuovi interventi in un dibattito sempre attuale: Contributi al xxvii Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate (7,8,9 aprile 1982), Morcelliana, Brescia 1983.

[22] Giambattista Vico. Poesia, Logica, Religione: Contributi al xl Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate, (aprile 1985), Morcelliana, Brescia 1986.

[23] Prini, Quarant’anni di vita del Movimento di Gallarate (1945-1985), cit., p. 23.

[24] Bortolin, Tra ricerca filosofica e fede cristiana, cit., p. 346.

[25] Bontadini, Filosofia e teologia in Italia dall’inizio del movimento di Gallarate, cit., p. 24.

[26] Bontadini, Introduzione, in Filosofia e teologie contemporanee, cit., p. 32.

[27] Bortolin, Tra ricerca filosofica e fede cristiana, cit., p. 503.

[28] Prini, Quarant’anni di vita del Movimento di Gallarate, cit., p. 22.

[29] Bortolin, Tra ricerca filosofica e fede cristiana, cit., p. 346.

[30] Santinello, Brena, Gallarate, Movimento di, cit., p. 4545 [secondo corsivo nostro].

[31] Santinello, L’antropologia filosofica di «Gallarate», cit., p. 130.

[32] Bortolin, Tra ricerca filosofica e fede cristiana, cit., pp. 508-513.

[33] P. Prini, Presentazione. La crisi di identità della filosofia, in AA. VV., Lo statuto epistemologico della filosofia: Contributi al xli Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate. Aprile 1986, Morcelliana, Brescia 1989, p. 8.

[34] E. Agazzi, Cosa sa la filosofia?, in AA. VV., Lo statuto epistemologico della filosofia, cit., p. 16, pp. 21-22.

[35] Prini, Presentazione, cit., p. 10.

[36] Agazzi, Cosa sa la filosofia?, cit., p. 25.

[37] G. Flores d’Arcais, Introduzione, in AA.VV., Imperativo e saggezza: Contributi al xlii Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate. Aprile 1987, Marietti, Genova 1990, pp. X-XI.

[38] H. Gadamer, Imperativo e Saggezza, in AA.VV., Imperativo e saggezza, cit., p. 7.

[39] Ivi, cit., p. 6.

[40] Ivi, cit., p. 7.

[41] Ivi, cit., pp. 12-13.

[42] Ivi, cit., p. 15.

[43] S. Biolo, Presentazione, in Id. (a cura di), Intelligenza naturale e intelligenza artificiale: Contributi al xliii Convegno del Centro di Studi Filosofici di Gallarate (aprile 1988), Marietti, Genova 1991, pp. IX-X.

[44] Ibidem.

[45] Ibidem.

[46] Ivi, cit., p. X.

[47] E. Agazzi, Operazionalità e intenzionalità: l’anello mancante dell’intelligenza artificiale, in S. Biolo (ed.), Intelligenza naturale e intelligenza artificiale, cit., p. 1.

[48] Ivi, cit., pp. 2-3.

[49] Ivi, cit., p. 1.

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