Vittorio Possenti | Incontrare l’esistenza. Jacques Maritain e la metafisica

In Italia (e altrove) il pensiero etico-politico, antropologico ed estetico di J. Maritain
ha lasciato un segno ed è tuttora presente. Diversamente è accaduto per
la sua poderosa ricerca teoretica, rimasta un tesoro nascosto, dove si collocano
metafisica, ontologia, gnoseologia, integrazione tra i saperi, filosofia della natura.
La svolta postmetafisica di larga parte della filosofia novecentesca ha rotto
ogni ponte con la grande tradizione della filosofia dell’essere. Consapevole di
questo esito, Maritain sostiene che il ciclo dell’autofondazione della filosofia
moderna uscita dal cogito, si è chiuso con uno scacco irrimediabile. È necessaria
una nuova partenza speculativa.
Il volume esplora i nuclei primari del suo pensiero metafisico per mostrarne le
virtualità e le potenzialità inespresse. Smitizzando il refrain sul nesso tra metafisica
e violenza, ed esaminando le omissioni dell’odierna postmetafisica e del
suo angusto antropocentrismo, si rilancia un pensiero cosmico-realista che illumina
la posizione dell’uomo nell’essere e la sua apertura all’Infinito.

Angela Ales Bello, Anna Maria Sciacca | Ti racconto l’aldilà

L’origine e la fine della vita è per molti un argomento difficile da accettare. Nel corso della Storia, filosofi, teologi, mistici e visionari si sono soffermati a riflettere sulla situazione di confine che è la morte, e su ciò che potrebbe esserci oltre. Angela Ales Bello e Anna Maria Sciacca, dopo aver affrontato la concezione della persona umana dal punto di vista fenomenologico, offrono una panoramica delle testimonianze antiche e medievali sulla concezione e raffigurazione dell’aldilà nel mondo pagano e cristiano fino al XIV secolo, dando particolare risalto alle visioni di Ildegarda di Bingen, delle mistiche di Helfta e di Dante. Senza tralasciare le esperienze di premorte e di incontri con i defunti, con accenni alla fisica contemporanea e alla sua idea di multiverso, il libro analizza la struttura stessa dell’umano, che intreccia corpo, psiche e anima.

Antonio Staglianò, Ripensare il pensiero

Ripensare il pensiero. Lettere sul rapporto tra fede e ragione a 25 anni dalla Fides et ratio

Prefazione di Papa Francesco

Antonio Staglianò è Presidente della Pontifica Accademia di Teologia. La recentissima Lettere Apostolica in forma di “Motu proprio” di papa Francesco (01.10.2023) circa i nuovi statuti della Path (consultabile nel sito della Santa Sede) trova, in questo libro, una sua prima autorevole interpretazione.
Per superare le “guerre di religione” si separarono doverosamente la società civile e la chiesa. Questa separazione portò, però, all’opposizione tra fede e ragione, diffondendo un pregiudizio che nuoce alla ragione e non solo alla fede: “la fede crede e non deve sapere; la ragione sa e non deve credere”. Le Lettere di questo saggio su Ripensare il pensiero si propongono di smontare teoreticamente questo pregiudizio superficiale, benché radicato ormai nel linguaggio della maggioranza, anche tra i credenti. In questo lavoro di decostruzione, l’Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et Ratio resta una pietra miliare per l’oggi. L’opera pretende segnalare la possibilità di scrivere in filosofia e in teologia in modo nuovo, attraverso Lettere: è un genere letterario impegnato a semplificare la teoresi in un linguaggio auspicabilmente più accessibile, dedicato a una comunicazione sapienziale, non per questo meno scientifica. Indirizzate a Tommaso d’Aquino come a Blaise Pascal – ma anche a Benedetto XVI come a

Papa Francesco o a filosofi quali Carmelo Ottaviano e a intellettuali viventi sul pensiero di Rosmini e su quello di Emanuele Severino –, le Lettere riprendono la questione del rapporto tra fede e ragione quale bisogno culturale per l’intelligenza e per la vita.
Se davanti all’Impensabile, la ragione si arrende a tavolino, potrebbe trovarsi poi nella condizione di non comprendere tante esperienze vitali dell’uomo: condannandole all’irrazionalità, esponendole alla credenza (non criticamente controllata) e all’opinione soggettiva, espulse dal campo del pensabile. Dal sonno della ragione nascono idolatria e ideologia. Perciò la fede è interessata a ridestare la “ragione intera” (Benedetto XVI).
La separazione moderna tra ragione e fede deriva da una “mancanza di razionalità”. Chi l’avrebbe detto! Non si perde la fede perché la ragione ne dimostrerebbe l’illusorietà, ma perché la ragione “getta la spugna” rispetto a ciò che la eccede e trascende.
Una teologia in dialogo con la filosofia, le scienze e tutti gli altri saperi dovrà farsi carico di una riflessione non negligente che sappia “ripensare il pensiero” anzitutto ristabilendo l’autentico (=giusto) rapporto tra la verità e la ragione, in una circolarità interrogante che stabilisca la giustizia della ragione, come anche la giustizia della verità: “come deve essere la ragione per essere come deve? E come deve essere la verità per essere come deve?”.
Dentro le diverse prospettive dei saperi plurali – con la legittima autonomia metodologica delle rispettive scienze –, attraverso la transdisciplinarietà, sarà necessario convergere in una scienza dell’uomo unitaria (cfr. Veritatis gaudium n.4). È questa la via indicata per aiutare l’umano dell’uomo a crescere in umanità, evitando il degrado disumanizzante della barbarie, nelle tante forme violente dell’irrazionalità. Ripensando il pensiero, la teologia ripensa sé stessa e si propone quale “Teologia sapienziale che sa di carne e di popolo”, come sottolinea la Prefazione di Papa Francesco.

Martin Buber. In principio la relazione

Ripercorrendo le principali tappe del pensiero buberiano, con la semplicità di un racconto, il volume traccia il profilo intellettuale di uno dei grandi maestri della filosofia del Novecento che ha saputo intrecciare la profondità del pensiero astratto con l’immediatezza della vita quotidiana, il rigore del metodo filosofico con l’esperienza viva dell’ebraismo. A cento anni dalla pubblicazione di Io e Tu (1923), questo contributo intende restituire la viva voce della filosofia buberiana mettendola in connessione con le istanze e i bisogni del tempo presente.

RECTA RATIO

Elvio Ancona, RECTA RATIO. Testi e Studi di Filosofia del Diritto

Ha ancora senso cercare la verità nel processo? Ha ancora senso in un processo penale quale il nostro, basato sul principio del contraddittorio e connotato da regole di esclusione probatoria che appaiono talvolta impeditive di un autentico accertamento dei fatti di causa? Ma soprattutto, ammesso che continui a svolgere un ruolo nel contesto forense, di quale verità stiamo parlando? E di quale concezione della verità avremmo bisogno? Riconsiderata per rispondere a queste domande, la dottrina tommasiana dell’adaequatio si mostra in grado di apportare un significativo contributo all’epistemologia giudiziaria, in quanto, in combinazione con la riflessione dell’Aquinate sulla certitudo probabilis delle testimonianze, permette di coniugare la consapevolezza che nell’amministrazione della giustizia, come in ogni materia variabile e contingente, non possiamo raggiungere certezze assolute, con la convinzione di poter nondimeno conoscere ciò che con più probabilità si è effettivamente verificato. La dialettica disputativa praticata dal maestro domenicano nella ricerca dell’adaequatio fornisce poi un supporto logico e metodologico che appare particolarmente idoneo alla selezione e al controllo delle ipotesi decisorie formulate nel corso del giudizio, consentendo di individuare quella, tra le alternative disponibili, che più probabilmente “corrisponde” alla realtà dei fatti di causa, e addirittura, come deve essere nel caso del processo penale, di appurare se l’affermazione di colpevolezza vi corrisponda “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Lineamenti di una bioetica della cura

Ripensando l’esperienza della pandemia

In molti avvertiamo l’esigenza di ripensare la bioetica a partire da alcune verità sulla condizione umana che l’esperienza della pandemia ha reso tangibili: la vulnerabilità, la consapevolezza di dipendere gli uni dagli altri, l’incertezza. Tra tutte è la vulnerabilità l’idea trainante, che reca in sé un’istanza di rinnovamento. Il testo propone un’analisi critica della sua presenza in bioetica; esamina la possibilità di una teoria che ne distingua le forme; ricerca, infine, la connessione tra vulnerabilità e cura, attraverso una rilettura dei saggi che Warren Reich ha dedicato, tra la fine degli anni ’80 e gli inizi del 2000, all’intreccio dei due temi e alla proposta di un “nuovo” paradigma di cura. La parte centrale del testo rilancia la proposta, chiarendone l’impianto teorico. Traccia i lineamenti di “una bioetica della cura”, insistendo sulla sua doppia origine: l’etica della cura e una riflessione sulla condizione umana che muove dal concetto heideggeriano di Cura e dalle filosofie di Lévinas e Jonas. Da tali premesse teoriche derivano i fondamenti e il metodo di questa bioetica, che esamina i problemi a partire dalle relazioni, senza rinunziare a proporre principi che orientino le relazioni di cura, e virtù che ne consentano una buona pratica. L’intento è promuovere una bioetica che, nelle diverse sedi in cui opera, sia sempre di più una “bioetica della prossimità”.

Marianna Gensabella Furnari, già professore ordinario di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Messina, è stata componente del Comitato Nazionale per la Bioetica (dicembre 2006-maggio 2022). È attualmente Presidente della Sezione Sicilia dell’Istituto Italiano di Bioetica. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo quelle nell’ambito della bioetica edite da Rubbettino: Tra autonomia e responsabilità, 2000; Vulnerabilità e Cura, 2008; Il corpo della madre, 2018; e la cura dei volumi: Alle frontiere della vita: Eutanasia ed etica del morire, voll. 2, 2001-2003; Il paziente, il medico e l’arte della cura, 2005; Tecnica e procreazione, 2005; Le sfide dell’ingegneria genetica, 2006; Il bene salute, 2011; Vedere la disabilità, 2014; Donne, bioetica e cittadinanza, 2017; Identità di genere e differenza sessuale, 2017.

Sul male

Marco Ivaldo, Sul male

Pietra d’inciampo dei sistemi filosofici, il problema del male sembra attrarre in misura assai limitata l’attenzione delle filosofie contemporanee. Nel cosiddetto ‘secolo breve’, così radicalmente segnato dallo scatenamento del male (morale e fisico), ma anche nella nostra epoca di cambiamento, il tema del male è parso e pare risultare poco interessante per un pensiero prevalentemente attirato da indagini analitiche ed empiriche. La filosofia classica tedesca invece – che pure viene impropriamente catalogata come una sequenza di sistematiche astratte – si è seriamente confrontata con il tema del male, all’interno di un pensiero fondante, anche se differenziato, che tiene fermo il binomio dialettico di ragione e libertà. Il male ha una natura spirituale, è negatività attiva, non mera assenza, e questo ne spiega
la valenza distruttiva. La ricerca che segue è soprattutto un invito a porsi riflessivamente in ascolto di quattro protagonisti della filosofia tedesca sul tema del male, con la consapevolezza che le loro lezioni sollecitino a cercare ancora e ‘pensare altrimenti’.

Marco Ivaldo – scolaro di Alberto Caracciolo – è stato professore ordinario di Filosofia morale nell’Università di Napoli Federico II. Le sue ricerche vertono sulla filosofia trascendentale, l’ontologia fondamentale, l’etica, la filosofia della religione, con particolare attenzione al modo in cui esse vengono declinate nell’ambito della filosofia tedesca classica. È condirettore delle «Fichte-Studien».

La preghiera e il divino

Edmund Husserl

La preghiera e il divino. Scritti etico-religiosi
A cura di Angela Ales Bello

La questione di Dio, apparentemente non centrale nelle analisi di Edmund Husserl, si mostra, in realtà, come l’immancabile punto d’arrivo di numerose sue indagini sul “senso” dell’umano, sui legami intersoggettivi resi possibili dall’entropatia, sui conseguenti vincoli comunitari di carattere etico e sulle produzioni culturali, dalla filosofia alle scienze e alla teologia. In un serrato colloquio con i filosofi dell’Età Moderna, Cartesio e Leibniz, ma anche, alla lontana, con quelli del Medioevo, Agostino e Tommaso, la ricerca sul divino assume un’importanza sempre più palese soprattutto nei manoscritti del fenomenologo. La curatrice segue qui lo svolgimento di questo argomento, traducendo e commentando alcuni testi husserliani relativi al Dio dei filosofi, al Dio dei teologi e al Dio della fede, che culminano con una profonda meditazione sulla preghiera.

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