Un kairos per la politica?

Un kairos per la politica?

Papa Francesco e l’ordine internazionale

Questo articolo fa parte della categoria Carità e politica e si pone in risposta alla Quaestio Carità e politica nell’Enciclica Fratelli tutti

«[P]uò funzionare il mondo senza politica?
Può trovare una via efficace verso la fraternità universale
e la pace socialesenza una buona politica?» (Fratelli tutti, 176)

  1. La “politicità universale” della Fratelli tutti

Ben 287 paragrafi di un’enciclica sociale dedicati alla politica nella seconda modernità, senza alcun accenno ai “politici cattolici”[1]: con questa scelta Papa Francesco mette nuovamente al centro l’universalità del messaggio della carità, rivolgendosi alla coscienza di ciascuno e di ciascuna di noi. L’enciclica si pone così all’interno della stessa prospettiva contenuta in quei «cinque processi interconnessi» che Ulrich Beck, già nel 1999, aveva individuato come segni di «mutamento» e «riconfigurazione» della società e a cui, come fa notare il sociologo tedesco, è necessario rispondere simultaneamente: «la globalizzazione, l’individualizzazione, la rivoluzione dei generi, la sottoccupazione e i rischi globali (in forma di crisi ecologica e del crollo dei mercati finanziari globali). La vera sfida teorica e politica della seconda modernità consiste nel fatto che la società deve rispondere a tutte queste sfide simultaneamente»[2]. Se da un lato, il concetto di seconda modernità aiuta a capire la dimensione politica di Fratelli tutti, dall’altro rende ancora più evidente come quella dimensione orientata alla sfera razionale-istituzionale della politica, che Weber avrebbe chiamato responsabilità venga, se non esclusa, almeno sottostimata [3]. Proporre una prospettiva, come quella delineata, che si rivela doppiamente provocatoria (sia per l’universalizzazione del messaggio oltre i confini del cristianesimo, che per la restrizione dello stesso ad un’etica della convinzione) non è soltanto il diritto di un Papa: il genere di documento all’interno del quale l’enciclica rientra, gli consente infatti di ricorrere a uno stile più diaconico o profetico – qualcuno dice utopico o sognante[4]. Il compito di una riflessione accademica, tuttavia, non è e non può essere la diretta riproposizione del messaggio – ciò implicherebbe il rischio di cadere nel dogmatismo – ma consiste piuttosto in una sua interpretazione critica, dove sarà possibile inserire anche quei suggerimenti magisteriali che, all’interno di un pensiero che non prescinde dai problemi e dalle sfide concrete, non possono mancare.

Alla luce di queste considerazioni, è possibile intendere la radicalizzazione politica della carità presente in Fratelli tutti come il mezzo individuato da Francesco per salvare «democrazia, libertà, giustizia, unità» dal loro essere «manipolate e deformate» o utilizzate persino «come strumento di dominio» (FT 14). Dall’annuncio della carità diventa dunque possibile ripensare e riscoprire la politica: in questo modo, Francesco si pone significativamente sulla scia di Óscar Romero a cui si riconduce la famosa espressione della politica come «forma più alta di carità». Per Romero infatti, la «dimensione politica della fede non è altro che la risposta della Chiesa alle esigenze del mondo socio-politico concreto in cui vive. […] Questa opzione della Chiesa per i poveri spiega la dimensione politica della fede nelle sue radici e nei suoi tratti fondamentali. Perché ha scelto i poveri reali e non immaginari, perché ha optato per quelli realmente oppressi e repressi, la Chiesa vive nel mondo politico e si realizza come Chiesa anche attraverso ciò che è politico»[5]. Da questa prospettiva derivano delle conseguenze provocatorie per le categorie della politica orientata all’ordinamento secondo i criteri base della “giustizia”: lungi da poter discutere le varie “provocazioni”[6] contenute nell’enciclica Fratelli tutti, ci limitiamo qui a mostrare l’insistenza sulla “secondarietà” della proprietà rispetto alla «destinazione universale dei beni», che rende l’aiuto agli «indigenti» soltanto una “restituzione” dovuta (FT 119-120); l’interpretazione della migrazione, anche nella scelta della meta, come “diritto” (FT 129); o il buon Samaritano come «modello sociale e civile»[7] (FT 66).

Anche per Papa Francesco dunque, la carità deve fare riferimento alla giustizia, la fraternità all’ordine, la morale ai rapporti concreti di potere. Senza questa seconda dimensione, il suo appello non potrebbe considerarsi una “diaconia” o “profezia”, ma semplicemente una “utopia”, e ricadrebbe dunque in una filosofia politica senza alcuna concretezza. In contrasto con una Dottrina sociale che fino ad ora ha sempre seguito la sintesi tommasiana tra giustizia e carità – per San Tommaso infatti, la «misericordia sine iustitia», ovvero la carità senza giustizia, è «mater dissolutionis» (Super Matthaeum V, 6) – Francesco pone i due termini in modo decisamente più dialettico. Si potrebbe affermare che si tratta di una prospettiva più “politica”, specialmente se considerata in riferimento all’ideale sintesi metafisica che Benedetto XVI ha formulato in Caritas in veritate, oltre la quale ora la giustizia viene interpretata alla luce dei “fallimenti politici”, e la carità viene intesa come quella forza che ogni cristiano e ogni “uomo di buona volontà” possiede.

Il motivo di una così diversa concezione – che si discosta dalle posizioni di Giovanni XXIII o di Paolo VI – va probabilmente ricercato nel fatto che, a differenza dei suoi predecessori, l’attuale Papa non si pone come il “naturale interlocutore” di molti politici: Francesco preferisce piuttosto cercare i suoi “alleati” nelle altre religioni e nei loro principali esponenti. Questa differente postura non si esplicita solo nei suoi gesti, ma viene testimoniata anche da due dei suoi ultimi documenti più importanti – la Laudato si’ e la Dichiarazione sulla fratellanza umana – di cui Fratelli tutti costituisce certamente una sorta di completamento[8]. In contrapposizione con una dimensione politica che si ferma al “socio”, Francesco pone al centro la carità come quella capacità che si rivela in grado – come mostra il buon Samaritano – di aprirsi incondizionatamente a ogni persona bisognevole con l’atteggiamento di cura[9], contribuendo in questo modo a una nuova solidarietà di tutta l’umanità che include anche l’ambiente. La forza che impedisce la nascita di un’umanità fraterna e solidale è per Papa Francesco l’individualismo che viene “coltivato” per le logiche di mercato e consumo a livello mondiale, che solo apparentemente realizza la libertà, mentre nei fatti la rende più astratta, individuale, e di conseguenza la perde[10]. La globalizzazione dei mercati, della finanza, e delle istituzioni politiche non porta quindi a quella autentica libertà che risiede nella solidarietà dell’umanità e che si realizza, sia a livello individuale che politico, solo nella fraternità (FT 154). Mentre «liberalismi» e «populismi» – messe in una strana e provocatoria perequazione[11] – chiudono e restringono la libertà (FT 155), il Papa mostra un orizzonte che punta su un ripensamento delle organizzazioni internazionali che si orienta alla fraternità.

2. “Fraternità” e “carità” che presuppongono un ordine

Alla luce delle precedenti considerazioni, è necessario riflettere tuttavia anche su come il discorso politico di Papa Francesco in Fratelli tutti non sia privo di riferimenti alla “politica dell’ordine” (ordnungspolitisch). Per riflettere su questo aspetto, appare di grande aiuto un testo dimenticato su «politica e morale» del 1946, di Alexander Rüstow, un rappresentante dell’ordoliberalismo. Certamente, il suo riferimento ai “due blocchi” oggi è datato, ma la domanda su come pensare un ordinamento politico mondiale nei confronti di Stati il cui possesso di una bomba atomica rischia di spezzare ogni legame tra potere e morale, si ripresenta con estrema attualità nel 2021, anno in cui l’America di Biden dovrà affrontare, tra gli altri, il problema dell’Iran, della Corea del Nord. Rispetto a un nuovo multilateralismo squilibrato – specialmente per l’ascesa geopolitica della Cina –, che apre molte frontiere di conflitto, le prospettive delineate da Papa Francesco possono dunque incidere sulla situazione geopolitica? Se con il suo principio della fraternità apre a nuove prospettive per la politica, allora questa domanda ci pone davanti a una delle sue prove più decisive.

Le lunghe considerazioni di Rüstow sullo Stato moderno e sul suo rapporto ambiguo con la morale e con la religione – che infine sono state definitivamente superate da Marx, Nietzsche, Pareto e Sorel – sono estremamente utili per comprendere perché per Papa Francesco l’etica politica delle encicliche novecentesche non costituisca più un punto di riferimento. Il rapporto ambiguo dello Stato con la morale e la religione, ovvero questa «ambivalenza ritrosa», mette in luce come l’«inchinarsi del vizio di fronte alla virtù» si sia realizzato come «ragion di Stato» moderno[12], la quale ereditò la vittoria di Riforma e Controriforma da Machiavelli. L’instabilità di questo rapporto tra politica e morale sfociò nel terrore giacobino e nelle guerre napoleoniche, dalle quali nacque la Santa Alleanza Ottocentesca come tentativo di ristabilire un equilibrio – non meno esteriore – tra politica e morale: considerando che fino al Concilio Vaticano II era essa a dare lo schema del pensiero politico cattolico, si comprende l’urgenza di una riflessione fondamentale di etica politica all’interno della Dottrina sociale – iniziata, appunto, con la Pacem in terris e lo stesso Concilio, portata avanti con la Centesimus annus, fino a giungere, con Papa Francesco, a un certo bilancio. La questione centrale è quella posta da Meinecke e citata da Rüstow, ossia come si può riuscire a «porre su basi radicalmente etiche proprio quella comunità umana [lo Stato] che abbraccia tutte le altre comunità, le custodisce e le promuove»[13]?

A questo punto si pone con sano realismo il problema che per contrastare l’egoismo machiavellico degli Stati nei rapporti tra di loro, l’appello della carità deve porsi su strutture “di giustizia” che nell’ambito internazionale significano innanzitutto una certa stabilità e collaborazione, nonché un assetto istituzionale che funga come garanzia dei rapporti tra gli Stati[14]. È, come sottolinea Rüstow, la specifica situazione in cui si trovano ad esempio i cantoni svizzeri o gli Stati americani, che impedisce loro di rapportarsi gli uni agli altri secondo il principio del «sacro egoismo»[15]. In ciò egli trova del resto un’analogia tra persone private e Stati: è il contesto giuridico-istituzionale che stabilisce i loro rapporti e rende possibile incontrare l’altro presupponendo di non essere minacciato a morte da lui. Con ciò Rüstow non si orienta al paradigma hobbesiano di definire il bellum omnium contra omnes come “situazione originaria” dell’umanità, ma lo considera come «situazione patologica di eccezione» che tuttavia nei rapporti tra gli Stati, cioè a livello internazionale, non è ancora stato superato[16]: guardando nel futuro di questo 2021 la minaccia di «situazioni patologiche di eccezione» è a un livello allarmante, e lo stesso Papa Francesco non si stanca di sottolineare la serietà dell’attuale situazione – parlando tra l’altro già dal 2014 di una «terza guerra mondiale a pezzi».

Per comprendere meglio il rapporto tra politica e morale, e quindi la possibile importanza della prospettiva di Papa Francesco per la politica internazionale del 2021, è più che utile richiamare la distinzione che lo stesso Rüstow introduce con i termini – che oggi sembrano desueti – di «morale interna» e «morale esterna»: contro una confusione molto diffusa, che attribuisce la prima al livello individuale della morale e la seconda a quello politico, entrambi caratterizzerebbero sia l’etica tra gli individui sia quella tra gli Stati. Quella interna, che Francesco chiama carità, è destinata a superare quella esterna, che segna una situazione in cui l’altro (individuo, Stato) è completamente estraneo e incalcolabile. Secondo Rüstow infatti, «[l]a morale interna presuppone la reciprocità, e quando essa manca, vige la morale esterna»[17]: a differenza di quest’ultima, la prima presuppone dunque un ordine vigente, istituzioni e contratti, che la rendono possibile. Tuttavia, mentre per Rüstow la morale interna resta ancora all’interno di rapporti di giustizia, Papa Francesco radicalizza questa dimensione nella carità. La carità, quindi, presuppone un ordine, e non deve essere fraintesa come una “forza” che lo rende superfluo o lo squalifichi come mero arrangiamento provvisorio. Quando esso manca, e quindi non c’è nessuna base per l’affidabilità, saltano infatti le norme morali e in caso estremo si legittima anche l’autodifesa, con qualsiasi mezzo. In questo caso, l’uso della violenza può essere eticamente non solo diritto ma addirittura dovere, come sottolinea Rüstow. Si comprende così come la radicalizzazione della morale interna in carità, da Papa Francesco, rende oltremodo importante e imprescindibile l’impegno degli Stati alla creazione e al consolidamento di un ordine politico internazionale[18]: per Francesco esso consiste nella «globalizzazione dei diritti umani più essenziali» (FT 189). Ma quello che per Rüstow sembrava potersi realizzare in tempi ragionevoli, per Francesco è diventato una speranza lontana, anzi un’“utopia” o un “sogno”: «[n]el mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi» (FT 30).

Nel rapporto tra morale esterna ed interna si verifica però facilmente, come analizza Rüstow, un momento di stallo, perché all’impossibilità di raggiungere una situazione morale tra gli Stati, corrisponde comunque l’avversione a far ricadere la politica internazionale a un livello machiavellico: ciò porta a un’idealizzazione della situazione attuale[19] – situazione giudicata dall’ordoliberale come «sommamente misera e debole»[20]. Evidentemente, è proprio in questo punto che Papa Francesco sottolinea la forza del principio cristiano della carità, che supera la fermezza della giustizia la quale in simili situazioni non permette progressi, e si rivela così in grado di fare il primo passo. Inoltre, nella prospettiva di Papa Francesco, la “situazione di stallo” non è in nessun modo stabile, ma contiene il pericolo sempre latente e implicito di sfociare in situazioni di conflitto. Per questo motivo, nella sua prospettiva non c’è alternativa al “principiocarità”. In termini più conformi a un’etica della responsabilità, si potrebbe affermare che «è buona e doverosa ogni politica che avvicini il mondo alla situazione di garantita reciprocità morale, ed è cattiva e contraria al dovere ogni politica che allontani il mondo da questo auspicabile stato finale»[21]. La differenza tra la prospettiva ordoliberale e quella della carità di Francesco risiede nella radicale esclusione che quest’ultimo fa della guerra giusta – e che Rüstow invece, come del resto anche la Dottrina sociale cattolica dell’epoca, ritiene «a certe condizioni doverosa»[22]. Pertanto, come unica prospettiva Rüstow vede un ordinamento giuridico universale sotto un «governo mondiale» in senso kantiano (quindi non «Stato mondiale»), che non solo consideri lo stato giuridico come universale, ma appunto anche un potere legislativo ed esecutivo. Rüstow considera la realizzazione di questa idea una possibilità concreta, e ciò per la semplice minaccia della bomba atomica[23].

3. La sfida ambientale nella sua dimensione politica

Al di là del tema dell’energia atomica, che nel 2021 viene posto in modo nuovo dalla Corea del Nord e dall’Iran, ci si deve chiedere se anche la «Grande accelerazione» dell’emergenza ambientale[24], non a caso al centro del magistero sociale di Papa Francesco, costituisca una minaccia, nel senso rüstowiano del termine, in modo tale che essa debba necessariamente unire l’umanità. Anche se cambiano i termini dell’alternativa – quella ambientale non è tra mondo democratico e bolscevico – la situazione è analoga a quella individuata dall’ordoliberale tedesco: o si trova la soluzione della “minaccia climatica” in modo democratico e pacifico attraverso un’unità dell’umanità che includa la dimensione ambientale – grazie al “principio carità” – o essa si sfocerà in modo «barbaro e bellicoso»[25] in un’“aggressione”che in questo caso non deriva da uno Stato totalitario ma, potremmo dire, da un “machiavellismo della natura”[26].

La capacità dell’umanità di affrontare in modo etico tale sfida, secondo Papa Francesco è stata dimostrata durante l’anno scorso nella crisi causata dal Covid, che ha fatto nascere come reazione la«consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (FT 32)[27]. Questo, per Francesco, è un segno visibile che indica come l’umanità sia in grado di a realizzare una solidarietà universale che oltrepassi effettivamente i confini (FT 35): ecco la prospettiva della carità che integra l’universalismo ordoliberale. Se per realizzare la pace, intesa come assenza di guerra, la prospettiva ordoliberale fornisce gli strumenti necessari – e in questo senso funge come tentativo di realizzare l’“utopia” cosmopolitica di Kant –, quella che Francesco ha delineato come effetto della cura e della solidarietà necessita una prospettiva diversa, che pone al centro la fraternità come dimensione religiosa del sovra-politico, in quanto costituisce per l’umanità un impegno che non finisce mai[28]. In questo modo è possibile realizzare quel “modello” di “ordine” utilizzato da Francesco, che è a tutti gli effetti un’idea di “tipo ordoliberale”, ossia il poliedro che fa convivere tutte le differenze integrandole in un’unità (FT 215), e che, tenendo conto dell’esigenza rilevata sia da Beck che dall’enciclica di riconoscere «divergenti traiettorie di modernità in diverse parti del mondo»[29] (FT 21), può in effetti servire per applicare il modello ordoliberale alla dimensione universale-globale. Questa prospettiva richiede necessariamente di leggere questa enciclica insieme a Weber e agli ordoliberali anche alla luce della consapevolezza, sottolineata dallo stesso Weber, che ogni etica della responsabilità (che si riferisce alla dimensione istituzionale della politica) alla fine debba confluire in quell’etica della convinzione – che Papa Francesco chiamerebbe carità[30].


[1] Cfr. B. Sorge (con C. Tintori), Perché l’Europa ci salverà. Dialoghi al tempo della pandemia, Edizioni Terra Santa, Gravellona Toce 2020, p. 122. In prima battuta, egli sembra interpretare questo fatto, a partire da una presa di posizione di Papa Francesco nell’Evangelii gaudium, come fine definitivo dell’epoca dei “partiti cristiani” (ibid.), per affermare però subito dopo che per i cattolici rimane sempre «lecito farlo» purché ciò non escluda il dialogo con gli altri partiti (cioè «chiudendosi in un proprio partito»; ibid. p. 123).

[2] U. Beck, La società globale del rischio, trad. it. di F. Pagano, Asterios, Trieste 2001, pp. 11-12.

[3] «Si può dire che tre qualità sono soprattutto decisive per l’uomo politico: passione [dedizione appassionata a una “causa”], senso di responsabilità, lungimiranza», e la «lungimiranza» – intesa come «distanza tra le cose e gli uomini» – è senz’altro un importante aspetto del politico che ad esempio in Fratelli tutti non viene considerato (M. Weber, La politica come professione, in: id., La scienza come professione. La politica come professione, a cura di W. Schluchter, Einaudi, Torino 2004, pp. 45-121, qui pp. 101-102). Tuttavia, è possibile riscontare in Fratelli tutti, un richiamo alla responsabilità non è esente nell’etica del politico in Fratelli tutti dove, come esplicita Papa Francesco affermando che il «politico è un realizzatore, è un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio, realistico e pragmatico, anche al di là del proprio Paese» (FT 188). Inoltre, egli ricorda che i «grandi obiettivi sognati nelle strategie si raggiungono parzialmente» e che è «grande nobiltà esser capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina» (FT 195-196).

[4]Cfr. E. Gotti Tedeschi, L’Enciclica Fratelli Tutti si ispira a Utopia di san Tommaso Moro?, https://www.startmag.it/mondo/enciclica-fratelli-tutti-piu-che-a-san-francesco-sembra-ispirarsi-a-san-tommaso-moro/ (consultato il 23 dicembre 2020); Sorge, Perché l’Europa ci salverà, pp. 114-115.

[5] Discorso di Mons. Óscar Romero, in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa, conferitagli dall’Università di Lovanio il 2 febbraio 1980, https://www.aclibresciane.it/risorse/allegati/5970-discorso-romero-universita-lovanio-2-febbraio-1980.pdf (consultato il 23 dicembre 2020).

[6] Le virgolette indicano che qualora si leggano tali provocazioni all’interno della tradizione della Dottrina sociale della Chiesa, si lascia certamente argomentare che Francesco resta pienamente all’interno dei suoi binari. Tuttavia, il modo in cui Francesco fa certe affermazioni sulla “proprietà” sui “migranti” e sulla “fraternità”, lasciando coscientemente alle spalle ogni argomentazione di “terza via”, cioè di ponderazione tra l’inquadramento istituzionale e l’apertura della carità universale, fa sì che Fratelli tutti si situi in un certo senso al di fuori della tradizione delle encicliche sociali e si rivolga al mondo come una provocazione “utopica”.

[7] A. Spadaro, Fratelli tutti. Una guida alla lettura, in: L’Osservatore Romano, quaderno 4088 del 17 ottobre 2020, pp. 105-119.

[8] Questa l’interpretazione di B. Sorge, Perché l’Europa ci salverà, pp. 110-111.

[9] «Coloro che sono capaci solamente di essere soci creano mondi chiusi. Che senso può avere in questo schema la persona che non appartiene alla cerchia dei soci […]?» (FT 104).

[10] «Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine» (FT 103).

[11]Tale perequazione può essere criticata sotto molti punti di vista, ma ciò evidentemente supererebbe il limite di questo contributo. Molto lucida invece risulta l’analisi della tendenza del linguaggio politico verso la violenza e l’esclusione, quindi la rimozione del principio di fraternità (FT43, 114).

[12] A. Rüstow, Politik und Moral, in: id. / M. J. Hillenbrand / F. A. Hermens, Zwischen Politik und Ethik, Springer, Wiesbaden 1968, pp. 11-29, qui pp. 14-15 (tutte le traduzioni da questo saggio sono mie).

[13] Cit. in: Rüstow, Politik und Moral, p. 16. Proprio per quanto riguarda la prospettiva di coniugare le indicazioni di Papa Francesco con l’aspetto giuridico dell’ordine, a livello dei documenti magisteriali, Fratelli tutti deve chiaramente essere letta insieme alla Pacem in terris.

[14] Non a caso, in FT 173 Papa Francesco chiede una riforma delle Nazioni Unite che rispetta «limiti giuridici precisi»; cfr. in merito anche V. Possenti, Pace e guerra tra le nazioni. Kant, Maritain, Pacem in terris, Studium, Roma 2014, p.16.

[15] Rüstow, Politik und Moral, p. 17. Precisa che «il criterio decisivo e distintivo non è per niente quello che i soggetti di cui si tratta sono Stati, ma in quale situazione essi si trovano e in che rapporto stanno gli uni agli altri» (ibid.).

[16] Cfr. Rüstow, Politik und Moral, p. 18.

[17] Rüstow, Politik und Moral, p. 19.

[18] Cfr. Rüstow, Politik und Moral, p. 22.

[19] Certamente ha ragione Possenti quando afferma: «nonostante questi limiti strutturali sono convinto che l’Onu attuale è molto meglio che niente Onu» (Possenti, Pace e guerra, p. 44), ma proprio questa situazione dell’accontentarsi è quella che per lo stesso Rüstow come per Papa Francesco deve essere messa di fronte alle “nuove sfide” (che per Rüstow era la bomba atomica e per Papa Francesco l’emergenza climatica). L’appello al miglioramento dell’organizzazione internazionale si trova già nella Centesimusannus (CA 52) e nella Caritas in veritate (CV 67).

[20] Rüstow, Politik und Moral, p. 23.

[21] Rüstow, Politik und Moral, p. 24.

[22] Rüstow, Politik und Moral, p. 24.

[23] «È ovvio, e tutti lo riconoscono, che solo un’organizzazione unitaria efficiente dell’umanità che ha in mano il controllo sull’utilizzo dell’energia atomica, può garantire una tutela contro gli effetti distruttivi della bomba atomica» (Rüstow, Politik und Moral, p. 28).

[24] Cfr. J. R. McNeill / P. Engelke, La Grande accelerazione. Una storia ambientale dell’Antropocene dopo il 1945, trad. it. di C. Veltri, D. Cianfriglia e F. Rossa, Einaudi,Torino 2018.

[25] Rüstow, Politik und Moral, p. 29.

[26] Cfr. anche Beck, La società globale, p. 13.

[27] L’appello di Francesco per istaurare un’«autorità politica mondiale» è stato anticipata da Vittorio Possenti, che ha delineato alcuni principi di massima di cui deve essere caratterizzata; cfr. Possenti, Pace e guerra, pp. 45-46.

[28] «Poiché la guerra produce un imbarbarimento etico, la ricerca della pace avviene anche ricaricando di moralità la persona, conducendola a meditare sulle antinomie della violenza, sulla forza della nonviolenza, sulla gerarchia dei mezzi temporali ricchi e dei mezzi temporali poveri di costruzione della pace» (Possenti, Pace e guerra, p. 143).

[29] Beck, La società globale, pp. 12-13.

[30] «In verità: la politica viene fatta con la testa, ma di certo non con la testa soltanto. […] Ma se si debba agire in base all’etica dei principi o all’etica della responsabilità, e quando in base all’una o all’altra, nessuno è in grado di prescriverlo» (Weber, La politica come professione, p. 118). A questo punto, infatti, inizierebbe un dialogo interessante proprio con Papa Francesco.

Markus Krienke

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