A partire da una lettera di Stefano Semplici, la prima questione che sottoponiamo nelle nostre Quaestiones disputandae all’attenzione di tutti è introdotta da un intervento pubblicato sullo Huffington Post del 25 settembre 2020 a commento di un documento emanato dalla Congregazione per la dottrina della fede. L’intervento reca il titolo «Il samaritano è buono, ma non è questo il punto» ed è reperibile all’indirizzo: https://www.huffingtonpost.it/entry/il-samaritano-e-buono-ma-non-e-questo-il-punto_it_5f6c56a3c5b674713cc7cee0. Il documento commentato è un pronunciamento ufficiale contrassegnato da gravi preoccupazioni, che vanno inserite guardando a esperienze di cura inedite nello stesso mondo cattolico, segnatamente in situazioni al di là del contesto italiano e a fronte di norme di legge certamente permissive, oltre che a controversie tra organismi istituzionali che in certo modo lo rappresentano. Il confronto riguarda il problema del “fine vita” nei diversi aspetti di carattere ontologico, morale ed etico, giuridico, politico che lo connotano. Gli aspetti che da essa emergono investono, insieme alle nostre convinzioni sia di carattere ontologico sia di carattere morale, la validità o meno di protezioni giuridiche univoche delle stesse convinzioni in una società dove diverse, e non di rado in contrasto, sono le culture del morire e della preparazione alla morte. Ma quali sono realmente le nostre convinzioni sull’argomento, e come sono esse connesse da una parte al nostro panorama filosofico, dall’altra alla prospettiva della fede, dall’altra ancora alle sfide provenienti da una tecnica che ha significativamente modificato il vissuto della vita e della morte? E come comporre queste convinzioni con il pluralismo culturale in cui viviamo?
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